Il mantello di autorevolezza di Draghi adesso copre il cammino e le strategie di Salvini e Letta, che dopo l’incontro si sono legittimati a vicenda. Entrambi hanno necessità e lo dichiarano apertamente, che il governo abbia successo. Il premier ha depotenziato il pressing leghista per le riaperture e allo stesso tempo ha difeso Speranza
La moral suasion abita al Quirinale ed ha il volto autorevole e rassicurante di Sergio Mattarella. La strong suasion si è insediata a palazzo Chigi e mette in bella mostra l’effigie di Mario Draghi, premier che guida un governo “di alto profilo che non si identifica in una formula politica”(Colle dixit).
La svolta vera e consistente, da più parti invocata, sta qui. Non tanto nel fatto, pur importantissimo, che da adesso il dibattito politico, economico e sociale si incentrerà sulle riaperture e non più o non solo sui pastelli con i quali colorare le regioni. Né sulla road map vaccinale, ancora più importante e preliminare alla prima, volta ad acquisire il numero necessario di dosi.
Bensì nel patto ufficialmente siglato dai leader dei due principali partiti, Lega e Pd, di sostenere senza riserve l’esecutivo perché è la strada migliore, anzi l’unica, per far uscire il Paese dalle difficoltà in cui si trova e perché considerato il percorso politicamente maggiormente conveniente per entrambe.
Il patto è stato siglato da Salvini e Letta e non lascia adito a dubbi. La suasion di Draghi è strong perché su quell’accordo si fonda e quell’intesa dirige. Per comprenderlo appieno bisogna fare un passo indietro, all’ultima conferenza stampa del presidente del Consiglio. Quella in cui ha evidenziato che ristori e sussidi non bastano più e non sono l’unica opzione e magari forse neppure la migliore. Certo è importante aiutare nel concreto chi ha bisogno e lo scostamento di bilancio serve a questo.
Ma troppo debito è esiziale e il ciclo produttivo destinato ad alleggerirlo con la crescita non riprenderà se non quando gli esercizi commerciali e il riavvio delle altre attività economiche sarà completato. In questo modo il presidente del Consiglio ha messo il cappello sul pressing di Salvini: al tempo stesso accogliendolo e depotenziandolo politicamente. Il piano per le riaperture a breve diventerà effettivo ma sarà il piano del governo tutto insieme, non quello targato Carroccio o centrodestra di governo.
Allo stesso tempo, Draghi ha difeso il ministro della Salute bersaglio degli strali della Lega, ma la ha fatto dicendo “l’ho scelto io”. Non una concessione al partito di provenienza, non una deroga al vincolo dell’articolo 92 della Costituzione. Bensì una decisione autonoma e indipendente: così come le riaperture non sono di Salvini, così Speranza non è di Bersani (“casualmente” incontrato poche ore prima della conferenza stampa) bensì frutto del vaglio del premier.
Ora una tale sorta di bilanciamento è diventata la cifra d’azione del capo dell’esecutivo e segna un salto di qualità nel rapporto con i partiti perché i due più importanti tra quelli che sorreggono la maggioranza fanno sapere che quella cifra è anche la loro, che sono pronti a sostenerla e che in questo sostegno sta la loro identità e la loro convenienza. Fino a quando si vedrà, ma ora è così.
Al dunque il mantello di autorevolezza, competenza e capacità di Draghi adesso copre il cammino e le strategie di Salvini e Letta. I quali, riconoscendosi appieno nell’azione del governo senza per questo rinunciare a indirizzarla, si legittimano a vicenda, diventando a loro volta gli strong leader del loro campo. Entrambi hanno necessità e lo dichiarano apertamente, che il governo abbia successo. Salvini per vincere la competizione che sa di guerra civile politica con Giorgia Meloni; Letta per ritagliarsi lo spazio e la capacità per vincere la sfida con Giuseppe Conte e costruire la coalizione che alle prossime elezioni politiche contenderà al centrodestra il successo elettorale.
In meno di sessanta giorni, Mario Draghi ha imposto con sobrietà e determinazione la sua strong suasion. Che oggi ha acquisito uno spessore anche politico e dunque potrà dispiegarsi con maggiore decisione e, sperabilmente, successo. Allo stato, l’orizzonte politico è questo.