Uno studio preliminare evidenzia l’inefficacia del vaccino russo contro la cosiddetta variante sudafricana. Se confermato, si tratterebbe di un ulteriore motivo per non affidarsi ad esso nella lotta alle varianti che ci si prospetta
Il vaccino russo Sputnik V non sarebbe efficace contro la cosiddetta variante sudafricana (B.1.351) del coronavirus, stando a uno studio preliminare (ancora da sottoporre a peer review) rilanciato dall’autorevole rivista scientifica Nature.
Un gruppo di ricercatori alla Icahn School of Medicine, nel cuore di New York City, ha testato campioni di sangue reperito da persone vaccinate con il siero russo per vedere come reagisse a diverse varianti del virus che cause il Covid-19.
I campioni di sangue “vaccinato” sono stati in grado di sconfiggere la variante inglese (B.1.1.7) ma non quella sudafricana, non avendo reagito agli spike proteici presenti sui vettori virali di quest’ultima in otto casi su dodici.
Lo studio accende i riflettori su un problema che andrà fronteggiato da qui all’eventuale debellazione del virus. Esiste la possibilità che i vaccini sviluppati finora per contrastare i ceppi iniziali del coronavirus possano risultare inefficaci contro le sue varianti, presenti e future, che si sviluppano naturalmente per pressione evolutiva.
Finora l’efficacia dei quattro vaccini messi in campo dall’EMA (l’agenzia medicinale europea) sembra valere anche per le varianti in circolazione in Europa, tra cui prevalgono quella inglese, quella brasiliana e quella sudafricana.
Dei ricercatori israeliani hanno evidenziato come il vaccino commercializzato da Pfizer/Biontech sia effettivamente meno efficace nel contrastare la variante sudafricana, anche se ciò non significa che gli anticorpi prodotti dal siero non contribuiscano comunque a prevenire le forme più gravi di Covid-19.
Come ha sottolineato a Formiche.net Guido Rasi, già a capo dell’EMA, “il virus probabilmente continuerà a mutare, ma non sappiamo se in meglio o in peggio. Ci potranno essere reinfezioni, nuovi focolai, e andrà rimodulata la produzione. Ma una volta partita la catena, sarà molto più facile” produrre nuovi richiami in grado di fronteggiare le varianti del futuro.
Il fronte di coloro che vorrebbero che Sputnik venisse adottato e prodotto in Italia e nel resto d’Europa è ben nutrito e foraggiato dal Rdif, il fondo di investimento sovrano russo che lo commercializza.
Ma iniziare a produrre Sputnik V, ha spiegato Rasi, significa scommettere sul passato, perché “proprio come gli altri vaccini ad adenovirus è stato superato dalla tecnologia a mRna” alla base dei sieri di Pfizer/Biontech e Moderna.
La relativa obsolescenza di Sputnik V e i suoi tempi di consegna dilatati (a causa di difficoltà di produzione) significa che non converrebbe comunque scommettere sul vaccino russo e contare sulla sua produzione per adeguare il siero alle varianti.