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Stato vs Br, così Macron e Draghi diradano le ombre rosse

Tornano gli anni di piombo, torna il terrorismo rosso in Italia, ma in manette. Con l’operazione che ha portato all’arresto di sette ex terroristi, fra cui Giorgio Pietrostefani, Draghi e Macron segnano la fine della Dottrina Mitterand. Ecco chi sono, e cosa hanno fatto, i criminali fermati

All’improvviso rispuntano gli anni di piombo. L’arresto in Francia di sette terroristi e le ricerche di altri tre cambia la storia dei rapporti tra Italia e Francia, dimostra che l’Italia non ha dimenticato e che non poteva dimenticare, farà venire i sudori freddi a tante persone vicine a quel mondo che nei decenni successivi hanno avuto carriere di grande successo: basti ricordare le oltre 750 firme pubblicate sull’Espresso giusto 50 anni fa, nel giugno 1971, a corredo del manifesto che accusava il commissario Luigi Calabresi di essere il torturatore dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Calabresi sarà ucciso da Lotta continua il 17 maggio 1972.

Le Brigate rosse, Lotta continua, numerose organizzazioni terroristiche attaccarono l’Italia per utopistici ideali o per disegni politici e le centinaia di morti, feriti, invalidi, poliziotti, carabinieri, agenti della penitenziaria, magistrati, giornalisti, sindacalisti, in uno stillicidio di articoli e servizi televisivi alla fine resero più forte una nazione che reagì nelle regole della democrazia, senza leggi speciali, pur essendo sprovvista dei mezzi adeguati ai quali si cominciò a pensare all’indomani della morte di Aldo Moro.

I nomi degli arrestati riaprono scenari dimenticati da molti, non da tutti. Innanzitutto Giorgio Pietrostefani, oggi 78enne, responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua, che deve scontare più di 14 anni per l’omicidio Calabresi. Le ex brigatiste Roberta Cappelli, 66 anni, e Marina Petrella, 67, condannate per l’omicidio nel 1980 del generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi e, insieme con Giovanni Alimonti, 66 anni, del tentato omicidio del vicedirigente della Digos di Roma Nicola Simone il 6 gennaio 1982.

Simone, scomparso da poco, reagì e rimase ferito impedendo il proprio sequestro e proteggendo così informazioni sugli altri investigatori in prima linea. La Petrella è accusata anche dei rapimenti del giudice Giovanni D’Urso (1980) e dell’assessore democristiano della Campania Ciro Cirillo (1981) con l’uccisione di due uomini di scorta. Poi gli ex br Enzo Calvitti, 66 anni, Narciso Manenti, 64, Sergio Tornaghi, 63, quest’ultimo con una condanna all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale della Marelli. Quattro dei fermati devono scontare l’ergastolo. In fuga sono Luigi Bergamin (che nei Proletari armati per il comunismo ideò un omicidio per cui è stato condannato Cesare Battisti), Maurizio Di Marzio e Raffaele Ventura.

È indubbiamente una svolta politica. L’Italia con tanti governi ha insistito con le autorità francesi perché finalmente si ponesse fine all’ipocrisia della Dottrina Mitterrand, nata per proteggere solo chi non avesse compiuto fatti di sangue e ampliata a chiunque dallo stesso presidente francese. Nelle ultime settimane, anche per una diversa collaborazione europea tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron e tra i ministri della Giustizia, Marta Cartabia ed Eric Dupond-Moretti, si era capito che qualcosa si stava muovendo.

Al termine dell’incontro tra i due ministri l’8 aprile una nota del ministero della Giustizia sottolineava “la pressante richiesta delle autorità italiane affinché gli autori degli attentati delle Brigate Rosse possano essere assicurati alla giustizia”, oggi la Cartabia parla di “storica decisione” su una “ferita profonda della nostra storia” e ora la giustizia deve fare il suo corso. Il rischio era la prescrizione che è bloccata con gli arresti, mentre la più imminente resta quella del 10 maggio per Di Marzio. Il commento di Macron è chiaro: il presidente “ha voluto risolvere questo problema come l’Italia chiedeva da anni”, una decisione “che rientra nella logica della necessità imperativa di costruire un’Europa della giustizia, in cui la reciproca fiducia sia al centro”.

La “reciproca fiducia” fornisce un indizio che va oltre il terrorismo e il binomio Italia-Francia. Nel frattempo c’è l’ovvia soddisfazione italiana: “La memoria di quegli atti barbarici – ha commentato il presidente del Consiglio – è viva nella coscienza degli italiani. A nome mio e del Governo, rinnovo la partecipazione al dolore dei familiari nel ricordo commosso del sacrificio delle vittime”. Matteo Salvini ricorda che Battisti fu estradato in Italia durante il Conte I e parla di “ritrovata autorevolezza del nostro Paese” ringraziando il governo “e in primis il presidente Mario Draghi”, lanciando anche un ramoscello d’ulivo viste le polemiche di questi giorni. Per il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, “non si può fuggire dalle proprie responsabilità, dal dolore causato, dal male generato”.

E gli altri, quelli che li combattevano? C’è emozione, apprezzamento, fiducia negli investigatori di lungo corso che da quando hanno appreso degli arresti si stanno scambiando telefonate e messaggi sulle chat. Soddisfazione perché lo Stato non ha dimenticato, un pizzico di prudenza finché non ci sarà l’estradizione (ma è scontata), i ricordi di tanti anni di indagini difficili, di amici perduti, di sacrifici, di prese in giro sull’interpretazione di quella dottrina.

Tra poco rivedranno volti non più in vecchie foto in bianco e nero, ma dal vivo. Su tutto, il concetto di giustizia e non di vendetta, quello che contraddistingue una democrazia. Negli anni scorsi, in occasione di operazioni contro un altro terrorismo, quello jihadista, tante volte è stato detto che la formazione avuta in quegli anni di piombo è stata trasmessa ai più giovani, spiegando senza dirlo perché gli italiani sono più bravi degli altri.

Il dossier italo-francese sui brigatisti era stato chiamato “ombre rosse”, non gli Apache in assetto di guerra del film di John Ford del 1939, bensì ragazzi che volevano fare la rivoluzione, forse orientati da qualcuno, senza capire che non ce l’avrebbero mai fatta.

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