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Il ritorno in grande stile degli Usa sul clima. I retroscena di Thorne sul Leaders Summit

Cosa è successo prima e cosa cambierà dopo il Leaders Summit sul clima, in cui Biden ha riunito 40 leader globali, tra cui Cina e Russia? Il panel di Formiche.net con l’ex ambasciatore americano in Italia David Thorne su transizione sostenibile, scenari geopolitici e conferenza Cop26

L’America è tornata sulla scena climatica, e lo ha fatto in grande stile. Il Leaders Summit sul clima, organizzato in corsa dall’amministrazione di Joe Biden e svoltosi virtualmente la scorsa settimana, ha permesso ai timonieri di 40 Paesi di presentare i propri obiettivi climatici aggiornati (anche se non tutti lo hanno fatto) e mettere a fuoco le direttrici sociali, economiche e geopolitiche per avere una chance realistica di attuare la transizione sostenibile necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5°.

Intervenendo al Live Talk di Formiche (organizzato in collaborazione con Edison), David Thorne, ex ambasciatore americano in Italia e senior advisor dell’inviato speciale del clima John Kerry, ha sottolineato come il nuovo obiettivo americano – tagliare le emissioni del 50% (rispetto al 2005) entro il 2030 – sia “incredibilmente ambizioso; ma è anche quello che Biden ha ritenuto necessario fare per rendere gli Usa il nuovo leader nella sfida climatica”.

“Il Summit è stato il più chiaro esempio del ritorno dell’America al forum multilaterale”, ha detto Antonio Parenti, a capo della Rappresentanza della Commissione europea in Italia, “nonché della possibile combinazione di sinergie tra l’Europa e gli Stati Uniti”. Dimostra come la congiunzione di obiettivi e sforzi di Usa e Ue, in prima linea nella lotta al cambiamento climatico, possa cambiare le sorti della sfida. È l’inizio di un processo che richiederà un grande lavoro di coordinazione, ma è un buon inizio.

Sono tanti i Paesi che hanno alzato il tiro, anche grazie allo sforzo diplomatico di Kerry, che ha reso il clima “la punta di lancia della politica estera americana”, ha detto Thorne. Tra gli altri, il Giappone ha raddoppiato il taglio di emissioni da qui al 2030, il Canada adesso mira al 44%, Regno Unito e Unione Europea puntano al 78% entro il 2035 e al 55% entro il 2030. Meno entusiasti altri Paesi, tra cui India e Argentina, ma gli Usa intendono promuovere programmi collaborativi per convincerli ad alzare l’asticella.

Il successo diplomatico è stato sancito anche dalla presenza dei grandi rivali geopolitici di Washington, Cina (prima al mondo nelle emissioni di CO2) e Russia. “Quando abbiamo contattato la Cina all’inizio non eravamo nemmeno sicuri che avrebbero presenziato”, ha raccontato il diplomatico statunitense. Eppure Xi Jinping si è presentato e ha promesso di limitare l’utilizzo di carbone, pur evitando di aggiornare gli obiettivi climatici (neutralità carbonica entro il 2060, dieci anni dopo la stragrande maggioranza dei Paesi presenti).

Anche Vladimir Putin si è dimostrato “aperto al dialogo”, anche se ha preferito parlare di stoccaggio e cattura della CO2. Secondo Thorne, il fatto che il Cremlino abbia iniziato in contemporanea a ritirare i soldati dal confine con l’Ucraina e fornito cure al dissidente Alexei Navalny è di buon auspicio, fa sperare in un dialogo meno teso con la Russia. Soprattutto, evidenzia come il clima sia “forse l’unica questione dove tutti i Paesi possono davvero convergere”.

La transizione sostenibile non deve essere percepita solo come un peso, ha continuato il consigliere di Kerry. Come ha detto Biden, essa offre l’opportunità di creare lavoro e ricchezza, deve essere un catalizzatore per la giustizia sociale. Perciò gli Usa coinvolgeranno il settore privato domestico (che ha già promesso un investimento di 4,2 migliaia di miliardi per la green economy nei prossimi anni) ed estero (raddoppiando i fondi per i Paesi emergenti per indirizzarne la transizione sostenibile).

Ma bisogna correre. La finestra di opportunità per limitare il riscaldamento globale a 1.5° si sta chiudendo, ha avvertito Francesco La Camera (direttore generale di Irena), e questo decennio sarà decisivo. Il merito degli Usa è aver puntato sui benefici della svolta verde, ha continuato; la transizione da un sistema energetico basato sui combustibili fossili è fattibile solamente se il processo sarà equo; “occorre un approccio bilanciato tra il Nord e il Sud globali”.

Per fare questo si rende necessario l’impiego di tutte le tecnologie a nostra disposizione, ha rilevato Nicola Monti, CEO di Edison. “L’idrogeno può essere una soluzione, così come il nucleare. Dobbiamo tenere aperte tutte le possibilità di investimento durante il periodo di transizione”, ha detto. Il progresso richiede la generazione di energia a buon mercato, di cui hanno bisogno tanto i Paesi OCSE quanto (anzi, soprattutto) quelli emergenti. Altrimenti gli obiettivi climatici diventano semplicemente irrealizzabili per via degli squilibri tra i Paesi; serve un level playing field anche per l’energia, componente fondamentale di qualsiasi industria.

Gli sforzi congiunti di cui parlava Parenti vanno esattamente in questa direzione, tra progetti di tassazione del carbonio e sostegno alla transizione ecologica dei Paesi meno equipaggiati per affrontarla. “Questo summit è una ragione per cui la conferenza COP26 di Glasgow sarà un successo”, ha rimarcato Silvia Francescon, membro del comitato degli esperti del G20 e Senior Advisor di Hyphen. Ed è questa la ragione per cui bisogna potenziare l’alleanza, ha continuato.

In questa partita l’Italia ha una pedina d’eccezione, ossia il presidente del Consiglio Mario Draghi, grazie alla sua levatura internazionale e ai suoi rapporti personali con le figure chiave della Casa Bianca. Fu proprio Thorne a sottolineare l’occasione della visita capo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Kerry, che infatti si unì all’incontro con il segretario di Stato americano Antony Blinken.

La caratura di Draghi, il suo contatto con l’America e la doppia presidenza italiana di G20 e COP26 (con il Regno Unito) fanno del nostro Paese uno snodo naturale di facilitazione della diplomazia climatica. Il Leaders Summit è stato una pietra miliare sulla strada per la conferenza di Glasgow a novembre. Arrivarci coesi, con obiettivi e piani sincronizzati e ben definiti, può fare la differenza per la riuscita dello “sforzo erculeo” (copyright di Blinken) che la sfida climatica ci mette davanti.



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