Skip to main content

Incubo Zte. Fermata Huawei, Biden ha un’altra sfida sul 5G

Huawei è nella lista nera Usa, Zte (che è di proprietà di aziende dell’industria militare cinese) no. E ne approfitta per crescere. Biden è a un bivio: imporre sanzioni seguendo il predecessore Trump o chiudere un occhio lasciando spazio ai repubblicani?

Ha confermato la linea dura del predecessore Donald Trump su Huawei. Ora, però, Joe Biden è davanti a un bivio: che cosa fare con Zte? Il futuro del presidente statunitense, a casa come all’estero, dipenderà anche dalle sue scelte sull’azienda cinese leader del 5G. Come Huawei. Ma che, a differenza di Huawei, è rimasta soltanto per pochi mesi, nel 2018, sulla lista nera del dipartimento del Commercio.

Non essendo più sulla lista nera, Zte può per esempio, a differenza di Huawei, lavorare con fornitori statunitensi e produttori di chip che si affidano anche a tecnologie statunitensi. Come Tsmc, colosso taiwanese protagonista della contesta geopolitica e commerciale tra Stati Uniti e Cina.

All’epoca, di inversione di tendenza “per capriccio e per motivi personale” aveva parlato l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, John Bolton. E l’aveva fatto ben prima che The Intercept rivelasse i legami pericolosi tra Eric Branstad, figlio dell’ambasciatore trumpiano in Cina Terry Branstad (definito dal portavoce della diplomazia di Pechino un “vecchio amico del popolo cinese”), e Zte, azienda che figurava tra i clienti della società di lobbying per cui aveva iniziato a lavorare subito dopo aver lasciato il dipartimento del Commercio.

Oggi il sito specializzato LightReading parla di “possibile incubo” per Biden. E non soltanto perché, mentre Huawei ha sempre ribattuto alle accuse statunitensi sostenendo di essere un’azienda privata e indipendente rispetto al governo di Pechino, Zte non può fare lo stesso avendo tra i suoi azionisti Xi’an Microelectronics e Aerospace Guangyu, che sono a loro volta in mano a due società dell’industria militare statale cinese.

Ma toniamo al 2018. Le sanzioni avevano portato Zte quasi fuori dal mercato. Quelle misure ebbero effetti vista la forte dipendenza dell’azienda dalla tecnologia americana. Più lieve, invece, è stato l’impatto di misure come il bando britannico, alla luce della scarsa presenza di tecnologia Zte nel Regno Unito.

Oggi, liberata da quei vincoli e spinta dal mercato cinese, l’azienda sta crescendo più velocemente di Huawei. Ma anche delle europee Ericsson e Nokia e dell’americana Cisco.

La questione Zte mette Biden, dunque, dinnanzi a un bivio. Non può permettersi di essere morbido, altrimenti lascerebbe spazio al Partito repubblicano, pronto con il coltello fra i denti ad approfittare di qualsiasi segnale di debolezza del presidente sulla Cina in vista delle elezioni di medio termine dell’anno prossimo. Allo stesso tempo, però, la reintroduzione di sanzioni contro Zte sarebbe sicuramente accolta con favore a Washington ma rappresenterebbe una mossa da “falchi” anti Cina che l’amministrazione democratica preferirebbe evitare, soprattutto in questa fase.

Inoltre, osserva LightReading, senza prove di nuovi illeciti da parte di Zte, nuove restrizioni sarebbero difficili da giustificare dopo che l’azienda ha versato 2 miliardi di dollari per essere rimossa dalla lista nera. Invocare ragioni di sicurezza nazionale per reintrodurre le sanzioni potrebbe così risultare pretestuoso: “una mossa molto trumpiana da parte di un uomo desideroso di prendere le distanze dal suo predecessore”, scrive la testata.

Con Huawei che, pesantemente limitata dalle restrizioni statunitensi, sembra ora guardare più ai software che alle telecomunicazioni, una più libera Zte potrebbe rafforzarsi in patria per rimpiazzare lì e poi all’estero la rivale.

Una sfida per gli Stati Uniti. Ma non solo. Si pensi, per esempio, agli sforzi di Zte per giocare un ruolo nella partita da 40 miliardi di euro per la transizione digitale in Italia nonostante gli stop imposti recentemente dal governo di Mario Draghi.



×

Iscriviti alla newsletter