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Draghi stoppa ancora il 5G cinese. Golden power su Huawei e Zte

Dopo l’altolà a un accordo Fastweb-Zte pochi giorni fa, il governo applica di nuovo i poteri speciali sul 5G: imposte “prescrizioni” sull’acquisto di Linkem di forniture da Huawei e Zte

Il governo di Mario Draghi ha imposto un nuovo stop alle aziende cinesi nella rete 5G. È il secondo caso in pochi giorni.

Con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri datato 25 marzo 2021 sono stati infatti esercitati i poteri speciali su un contratto di fornitura 5G alla società Linkem da parte di Huawei e Zte. Cioè le aziende cinesi accusate dall’intelligence statunitense di spionaggio per conto del governo di Pechino, messe al bando dalla Federal communication commission e definite una “minaccia” dal Copasir nell’ormai celebre rapporto sul 5G di fine 2019.

Il governo Draghi ha imposto “prescrizioni” “in ordine alla notifica della società Linkem S.p.a., aventi ad oggetto l’acquisizione di elementi hardware e software da Huawei e ZTE per il completamento del progetto di architettura di rete 5G SA”, si legge nell’estratto del decreto consegnato al Parlamento.

“5G SA” sta per 5G standalone, un’architettura che prevede che la rete sia totalmente autonoma, cioè che tra core e radio non ci siano intermediari. Potremmo definirla un’architettura “5G puro”, cioè indipendente dal 4G. Ed è per questo che per essere implementata richiede più tempo rispetto al 5G NSA (non-standalone).

Alla normativa golden power, potenziata nel decreto legge “Liquidità” dell’8 aprile del 2020, Palazzo Chigi ha fatto crescente ricorso nel 2020: l’anno scorso i procedimenti conclusi con l’imposizione di prescrizioni o condizioni sono stati più della metà, 22 (di cui 18 sul 5G) su 39 totali, recita la Relazione annuale sulla sicurezza dell’intelligence italiana

Come detto, non è la prima volta che il governo Draghi stoppa le aziende cinesi. Il primo altolà era arrivato con un Dpcm dell’11 marzo, trasmesso alle Camere il 24 marzo, cioè il giorno prima del secondo esercizio del golden power. Come rivelato su Formiche.net, quelle prescrizioni arrivarono su un contratto di fornitura di tecnologia 5G a Fastweb da parte dell’azienda cinese Zte e della taiwanese Askey.

Già dopo il primo stop del nuovo esecutivo sottolineavano come il ricorso ai poteri speciali – in attesa del completamento del Perimetro nazionale di sicurezza cibernetica si completi sotto la supervisione del Dis – confermasse la prudenza scelta dal governo Draghi sui temi più delicati della politica estera.

Quella stessa prudenza che sembra aver suggerito a Mariastella Gelmini, ministra per gli Affari regionali, di dare forfait all’ultimo minuto all’inaugurazione del Cyber Security Transparency Centre di Roma aperto da Huawei in programma lo scorso 23 marzo.

E che, ribadita con il secondo altolà in pochi giorni, sembra in linea con il percorso tracciato da Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, che poche settimane fa aveva illustrato al Senato il suo piano per l’Italia digitale sottolineando come “la transizione digitale come strategia industriale e geostrategica competitiva” dell’Italia debba essere “chiaramente europea e atlantica”.

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