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L’America corre mentre l’Europa arranca. L’analisi di Zecchini

Superata la crisi, dovrebbe l’Europa riprendere il cammino per avvicinarsi al modello americano attraverso riforme profonde, oppure restare radicata nelle rigidità di sistema? È l’interrogativo a cui le forze politiche e gli elettori da molti anni cercano di rispondere. L’analisi di Salvatore Zecchini

Gli ultimi dati economici presentano un quadro sorprendente, in cui l’economia americana, superato il picco pandemico, ha ripreso a correre, mentre l’Europa che a fine anno credeva di essere sul punto di superarlo è ricaduta nella crisi e fatica a uscirne. Naturalmente le divergenze di andamento tra le due sponde sono il riflesso della differente situazione sanitaria, ma non è tutto perché le politiche seguite in campo sanitario e per imprimere una spinta alla ripresa economica insieme alla diversità di sistemi-paese hanno mostrato tutta la loro importanza.

In America nel primo trimestre dell’anno la curva delle vaccinazioni anti-Covid si è impennata piegando verso il basso quella dei contagi, e consentendo alla produzione di crescere oltre le aspettative, con un aumento del PIL reale corrispondente ufficialmente al 6,4% annuo, in accelerazione rispetto al quarto trimestre del 2020. L’ottimismo indotto dagli aiuti pubblici a famiglie ed imprese si sta diffondendo rapidamente, determinando un boom di consumi ed investimenti fissi, specialmente in attrezzature e prodotti della proprietà intellettuale, e di riflesso un aumento delle importazioni, che ha effetti positivi sulla crescita dei paesi partner. La forza della ripresa americana si nota anche nella tendenza attuale a rivedere verso l’alto le proiezioni di crescita per l’intero anno, accompagnandole con una cauta discesa della disoccupazione e un’accelerazione dell’inflazione.

Quest’ultima rappresenta la principale fonte di preoccupazione per gli operatori economici perché non è alimentata soltanto dalla possibilità delle famiglie di poter tornare a spendere la liquidità alimentata dalle sovvenzioni federali, bensì dal rapido rincaro dell’energia e delle materie prime.
Come nella crisi finanziaria globale del 2008, anche nel 2020 la recessione economica in America è risultata meno profonda che nell’UE e la ripresa più celere, dato che il PIL si è riportato quasi al livello di fine 2019. In Europa, invece, staziona a circa il 5% sotto quel livello nonostante il rimbalzo dell’estate scorsa e le prospettive per il trimestre in corso vanno nel senso di una lenta ripresa come conseguenza della permanenza di molte restrizioni sanitarie e di una campagna vaccinale comparativamente in ritardo. La debolezza della congiuntura economica in Germania, seguita dalla Francia, fa sentire tutto il suo peso sulle più grandi difficoltà di recupero delle economie italiana e spagnola. La divergenza tra le due sponde dell’Atlantico, nondimeno, non è riconducibile alle differenze di congiuntura all’interno dell’area comunitaria, perché in questi frangenti le politiche dei governi hanno assunto un ruolo preponderante nel determinare il corso delle economie.

A prima vista si direbbe che US e UE seguono lo stesso copione: prima le restrizioni ai movimenti, quindi gli aiuti a famiglie ed imprese, seguiti dall’avvio lento della campagna vaccinale e da ultimo dall’accelerazione delle vaccinazioni e forti stimoli per gli investimenti, la ricerca ed innovazione, il potenziamento delle industrie ritenute strategiche (specialmente digitalizzazione ed energia verde) e delle infrastrutture, e un più intenso ricorso ai mercati e alla tassazione, per la copertura finanziaria. Dietro l’apparente convergenza nelle strategie stanno significative differenze di percorsi, intensità d’intervento, tempistica, spazi di manovra ed efficacia di esecuzione. Sono queste diversità che condizioneranno il successo delle due aree nel raggiungere l’obiettivo comune di una nuova ondata di crescita sostenuta e sostenibile.

L’economia americana proviene da quattro decenni di politiche, iniziate dal presidente Reagan, dirette a limitare il ruolo pubblico nell’economia, deregolamentare le attività d’impresa ed a ridurre il prelievo fiscale, anche se implica una dilatazione inconsueta del debito federale. Il presidente Biden ha, invece, colto l’occasione dell’urgenza di uscire dalla crisi sanitaria ed economica per riaffermare l’importanza del ruolo pubblico nel sollecitare una nuova fase di espansione, che sia non solo più intensa delle precedenti di fronte all’emergere della potenza della Cina, ma sostenibile e con benefici più equamente ripartiti tra gruppi sociali. Dagli eccessi di detassazione e compressione della spesa di assistenza sociale della presidenza Trump, l’America di Biden si allontana per tendere in qualche misura verso il modello dell’Europa continentale di protezione sociale e di intervento pubblico per fornire all’intera collettività quei beni e servizi di cui l’impresa privata consente di godere solo agli abbienti. Lo spostamento è solo parziale, sia per le resistenze manifestate al Congresso, sia perché non viene intaccato l’impianto tipico del sistema liberistico americano su basi privatistiche, con le eccezioni della protezione dell’ambiente e del sostegno alle industrie di punta e quelle ritenute strategiche per la supremazia americana. Il protezionismo commerciale di Trump, tuttavia, rimane nel nuovo corso di Biden, che oltre a potenziare i sostegni all’imprenditoria, alle opere pubbliche e alla concorrenza di mercato, conferisce un’impronta nuova a favore della ridistribuzione dei redditi verso la classe media ed i meno abbienti.

In Europa sembra che almeno fino all’uscita dalla crisi si ammetta un pervadente intervento pubblico a sostegno delle imprese senza che vi sia ancora una strategia per ritornare alla preesistente disciplina degli aiuti di Stato, ma non si abbandona l’azione di tutela della concorrenza contro le imprese dominanti e contro l’elusione fiscale delle grandi multinazionali. Al tempo stesso si insiste nel caso dell’Italia sulle riforme in senso pro-concorrenza. Si vedrà se nei prossimi anni i sistemi americano ed europeo si avvicineranno tra loro su posizioni intermedie, senza che quello americano perda la comparativamente maggiore vitalità nell’attività imprenditoriale, nel finanziamento delle imprese e nella resilienza di fronte alle crisi.

Un avvicinamento si nota pure nella dimensione dell’incremento di spesa pubblica in Europa verso quella americana, pur non raggiungendo i livelli e la portata di quest’ultima. Il pacchetto di misure del presidente Biden supera i quattro trilioni di dollari, comprendenti 2,3 trilioni del Jobs Plan e 1,9 trilioni del Rescue Plan per la spesa sanitaria contro la pandemia, perché il Families Plan non è ancora quantificato e da ultimo è stato presentato il piano per le infrastrutture di circa 2 trilioni, a cui dovrebbe seguire un altro della stessa dimensione. Nel complesso il totale dei sei piani adottati dal marzo 2020 va oltre gli otto trilioni di dollari, che se spesi uniformemente lungo tutto il decennio equivalgono a un contributo annuo alla formazione del PIL tra il 3 e 4% del livello del PIL atteso per il 2021. Gli interventi dell’UE si stimano attorno ai 3 trilioni di finanziamenti autorizzati a cui si aggiungono 1,8 trilioni di euro del Next Generation EU e del Quadro Finanziario Pluriennale.

L’impatto delle risorse va anche misurato in rapporto ai tempi di decisione ed immissione nell’economia. In America grandi programmi sono stati decisi in tre mesi e si svolgono su un arco di 10 anni, con un’intensificazione degli aiuti alle famiglie nel 2021 per sopperire alle necessità derivanti dalla recessione, mentre gli interventi di struttura si distribuiscono gradualmente sul medio-lungo periodo. L’aiuto alle famiglie e ai lavoratori in difficoltà è risultato consistente ed ha raggiunto i beneficiari in tempi rapidi, permettendo di accelerare i consumi e di migliorare le aspettative sull’evoluzione dell’economia. Nell’Ue, invece, la decisione sui programmi di rilancio sta richiedendo quasi un anno, ma gli interventi vanno realizzati su un periodo meno lungo (6 anni) per concentrare la spinta alla crescita, benché qualche prolungamento sia prevedibile per la piena attuazione degli investimenti pubblici. Le sovvenzioni alle famiglie e ai lavoratori non sono state altrettanto consistenti come quelle americane, né rapide, né si sono tradotte in un pari impulso ai consumi.
Difficile fare valutazioni sull’efficacia nell’attuazione delle misure in questo stadio iniziale dei programmi: in America la pubblica amministrazione conta molto sulle capacità di progettazione ed esecuzione delle imprese private, limitandosi a ruoli di assegnazione degli incarichi e supervisione delle opere. In Europa la PA ha ruoli più coinvolgenti nell’iter dei programmi e sovente si affida a imprese pubbliche, o a controllo pubblico.

Una delle maggiori disparità sta, invece, nella flessibilità e resilienza dei due sistemi economici. Quello americano lascia più spazio all’iniziativa economica del privato e dell’impresa, tende a limitare le regolamentazioni e mostra una maggiore apertura all’innovazione, al rischio, alla responsabilità individuale di provvedere ai propri mezzi. Quello europeo fornisce più protezione sociale e meno incertezze, ma tende ad irrigidirsi e a resistere al cambiamento. Come si vede nell’evoluzione della stessa crisi nei due continenti, l’America di Biden si è mostrata più pronta a reagire in maniera decisa e ha rimesso in moto l’economia, mentre l’Europa stenta a farla ripartire.
Prontezza di risposte di policy, mole delle risorse impegnate, rapidità d’intervento e flessibilità di sistema appaiono come i principali fattori che stanno all’origine delle differenze di evoluzione e della più rapida ripresa americana. Ma non mancano i difetti in entrambi i piani. Ad esempio, si è visto che la generosità delle sovvenzioni al reddito dei lavoratori americani ne scoraggiano il ritorno o la ricerca del lavoro fin quando possono godere dell’aiuto pubblico, mettendo in difficoltà i piccoli imprenditori che intendono riprendere l’attività. Ne potrebbe seguire un’impennata di salari ed inflazione che può complicare il governo dell’economia.

Superata la crisi, dovrebbe l’Europa riprendere il cammino per avvicinarsi al modello americano attraverso riforme profonde, oppure restare radicata nelle rigidità di sistema? È l’interrogativo a cui le forze politiche e gli elettori da molti anni cercano di rispondere con soluzioni volte a bilanciare flessibilità e innovazione, da un lato, con protezione sociale e garanzie, dall’altro lato. Trovare un equilibrio stabile tra le due esigenze sembra quasi impossibile; probabilmente si continuerà a oscillare periodicamente tra i due modelli.



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