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Attenta sinistra, un peccato fare squadra senza Conte. Parla Geloni

L’ex direttrice di YouDem a Formiche.net: “Conte valore aggiunto, per sé e per tutta la coalizione. Il Pd? Ha ragione Urbinati, pasticcia. In questa fase pre-aministrative il rischio di farsi male c’è”

Sinistra, campo largo e Giuseppe Conte. Si apre oggi l’assemblea di Articolo Uno, con l’obiettivo di trovare un humus comune ad anime che non vogliono perdere le prossime elezioni prima di celebrarle, non solo politiche ma anche le amministrative. I nodi però, come sottolinea a Formiche.net Chiara Geloni, già direttrice di YouDem, non mancano. Ma potrebbero essere sciolti proprio dall’ex premier che “è una risorsa e non mi scandalizza quando dice di sentirsi di sinistra: parole perfettamente compatibili con un campo largo”.

Quello che ci unisce: l’assemblea di Articolo Uno parla più all’interno o all’esterno del recinto left?

Ostinatamente all’interno, ovvero ad un campo di centrosinistra che è assolutamente più grande di Articolo Uno e anche della stessa area di Leu, come dimostrano gli interventi di Speranza, Landini, Letta e Conte. E poi D’Alema, Zan, De Petris, Fornaro, Chiavacci, Schlein, Santori. Per cui anche se l’assemblea di oggi non si svolgesse, i nomi dei presenti da soli darebbero già il senso.

Il Pd pasticcia, scrive oggi Nadia Urbinati: a che punto è l’alleanza con i grillini, definita da Bettini come rapporto “mai organico ma sempre politico”?

Qualche pasticcio lo vedo anch’io, non nascondo difficoltà nel momento in cui occorre passare dalla teoria alla pratica. In questa fase pre-aministrative il rischio di farsi male c’è e gli errori mi sembra che siano dappertutto: nessuno è innocente. Ogni volta che c’è un problema si ricorre al meccanismo delle primarie: da decenni, però, questo meccanismo ha bisogno di una riflessione laica e invece ogni volta si scontra con una lettura, quasi mistica, che molti hanno, dimenticandosi che si tratta di un metodo, per selezionare la classe dirigente, che ha rivelato parecchi limiti.

In questo momento?

Sono squadernate sotto i nostri occhi tutte le contraddizioni delle primarie. A Bologna è stato deciso di fare le primarie all’interno di una coalizione, accettando che partecipassero anche candidati esterni alla coalizione stessa. Il risultato è una coalizione variabile a seconda di chi vincerà le primarie. A Roma le primarie serviranno ad incoronare un vincitore che il Pd ha esplicitamente già designato e che si balocca con questioni estetiche come la presenza delle donne.

Fa male?

Le donne non devono partecipare alle primarie per fare vedere che corrono anche loro, ma se e quando pensano di avere una proposta che possa essere vincente, esattamente come gli uomini.

A Torino e Napoli invece?

Non si sa se si terranno le primarie. Ma di fatto anche in quelle due città arranca la definizione di una definizione competitiva.

Calenda ha detto che al Campidoglio tra Raggi e Bertolaso preferisce il secondo. Quindi?

Quella frase è un problema di Calenda, dal momento che è stato eletto nel centrosinistra. Inoltre non credo che alle elezioni sarà così decisivo. Se avesse voluto davvero essere nella coalizione, avrebbe dovuto dare la disponibilità a partecipare alle primarie. Non averlo detto è già una risposta.

Draghi potrebbe decidere di dare sei mesi a zero tasse per chi assume, o evita di licenziare in alcuni settori. Che ne pensa?

Penso che, come ha detto Letta nella sua relazione alla direzione del Pd, Draghi fa benone, dopo una prima fase di gestione dell’emergenza sanitaria, a guardare avanti uscendo dalla dialettica tra continuità e discontinuità. Occorre un rilancio: proposte come questa vanno nella direzione giusta e so che dall’assemblea di Articolo Uno verranno indicazioni programmatiche precise per la riforma fiscale, per lo sviluppo sostenibile, per il nuovo welfare. Certo, le amministrative ci accompagneranno per un po’, ma la fase della definizione programmatica che guarda al 2023 dovrà comunque prevalere sui personalismi.

Da Zingaretti a Letta cosa è cambiato? Il campo resta largo?

Dal mio punto di vista è cambiata la decisione con cui Letta ha affrontato il tema della costruzione del campo. Su questo ho percepito una timidezza esasperata da parte di Zingaretti che lo ha portato a dare l’impressione di essere talvolta subalterno. Letta invece è partito trovando il tono giusto per alludere ad un rapporto con il M5s che viene dichiarato esplicitamente come obiettivo. Trovo ipocrita che nel Pd si dica di voler guidare quell’alleanza: chi guida lo decidono gli elettori. Il Pd ha un problema: deve fare una scelta identitaria che parli agli elettori in modo chiaro ma così rischia di dividersi.

Conte avrebbe dovuto fare un suo partito? E in quel caso sarebbe stato di sostegno ai dem?

Conte non deve porsi il problema di essere di sostegno al Pd, ma deve rappresentare un mondo che si riconosce nella sua leadership. Anche oggi leggiamo di un gradimento solido per l’ex premier, una popolarità intatta a quattro mesi dalla crisi di governo senza che lui sia andato in tv. È una risorsa e non mi scandalizza quando dice di sentirsi di sinistra: parole perfettamente compatibili con un campo largo. Che riesca a farlo portando il corpo elettorale e imprimendo un cambiamento piuttosto importante alla direzione dei grillini è la sua grande scommessa. Credo rappresenti un valore aggiunto, per sé, per la guida del M5s, per un eventuale movimento nuovo e per tutta la coalizione.

twitter@FDepalo

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