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Come dirottare un aereo. La scommessa di Lukashenko spiegata da Alegi

La Bielorussia ha costretto un Boeing 737 di Ryanair ad atterrare sul proprio territorio per mettere (letteralmente) le mani su un dissidente. Fioccano le reazioni politiche, ma resta oscura la dinamica dell’episodio, soprattutto nei concitati momenti del cambio di rotta. Chi ha fatto cosa e quando? Chi è stato avvertito e cosa è stato detto? Che faceva la Nato, che a poca distanza schiera gli F-35 italiani? L’analisi di Gregory Alegi, giornalista e storico

“Interventi politici e avvisi di sicurezza poco credibili sono un rischio per i velivoli commerciali, e gli operatori dovrebbero esercitare cautela sulla Regione informazioni di volo UMMV/Minsk”. È uno dei messaggi che le compagnie aeree stanno ricevendo dopo che domenica 23 maggio la Bielorussia ha costretto il volo Ryanair FR 4978 Atene-Vilnius ad atterrare a Minsk, dove è stato poi arrestato il giornalista dissidente Roman Pratasevich. Un’azione al limite della legalità che vede organizzazioni internazionali (Easa e Icao in testa) e professionisti del trasporto aereo (Ifalpa) uniti nella condanna morale.

Il Boeing 737-800 immatricolato SP-RSM è decollato da Atene alle 12:09, con a bordo 171 persone secondo la compagnia e i ministeri degli esteri greco e lituano (oppure 123, secondo i bielorussi). Attorno alle 12:50, nella fase finale del volo, quando con tutta probabilità aveva già iniziato la procedura di discesa per Vilnius, l’equipaggio (del quale non conosciamo nome, esperienza o alcun altro dato) ha ricevuto dalle autorità di controllo del traffico aereo (ATC) bielorusse un avviso di “threat on board” (minaccia a bordo, secondo alcune fonti di stampa) o più esplicitamente di bomba a bordo (secondo il portavoce del presidente bielorusso Alexander Lukashenko).

Più o meno contemporaneamente, il Boeing è stato affiancato da un caccia MiG-29 (ma più probabilmente due, in ossequio alla procedura internazionale), ha virato verso Minsk, dove è atterrato regolarmente. I passeggeri sono stati fatti scendere, i bagagli sono stati scaricati e controllati anche con uso dei cani. Viene portato via Pratasevich, che dice agli altri passeggeri di rischiare la vita. Alle 20:50 il Boeing è ripartito per Vilnius, dove è atterrato dopo circa mezz’ora, sotto gli sguardi curiosi della stampa, frattanto allertatasi. Oltre al dissidente, mancano quattro altre persone.

Senza accesso alle registrazioni delle conversazioni tra l’aereo e i controllori (ma anche con la propria compagnia), per ora è difficile spingersi oltre sul piano fattuale. In compenso, sono più chiare le domande: la procedura seguita era corretta? Perché l’equipaggio ha seguito il MiG? Che alternative c’erano? Cosa succederà? Proviamo a rispondere.

Il primo punto è la sovranità dei Paesi sui propri spazi aerei: per entrare bisogna essere autorizzati e seguire le regole locali. In altre parole, la Bielorussia può fare tutte le verifiche che vuole, a patto di non mettere a rischio la sicurezza. Nessuno può farci niente, salvo naturalmente scegliere rotte che evitano i Paesi a rischio. Quindi, in punta di diritto, l’intercettazione con i MiG era perfettamente legale.

Punto secondo, persino la Nato, che assicura la “Air policing” dei Paesi baltici schierando caccia forniti a turno dai diversi Paesi membri (dal 3 maggio è di turno l’Aeronautica militare, i cui F-35A hanno sostituito gli Eurofighter tedeschi), si limita a sorvegliare i propri spazi aerei, senza mai spingersi al di là dei confini. Quindi il decollo dei MiG-29 (con tutta probabilità dalla 61esima base aerea di Aviyabaza) non avrebbe destato particolari sospetti nel “Combined air operations centre” di Udem, in Germania, che controlla appunto l’Air policing baltico. Si aggiunga che la scelta di agire nell’ultima fase del volo ha ridotto il tempo di osservazione e analisi della Nato, lasciando pochissimo spazio all’analisi complessa.

Punto terzo, la procedura internazionale prevede che in caso di intercettazione gli aerei civili seguano le istruzioni dei caccia. L’unico modo per non cooperare è quello che l’equipaggio dichiari emergenza (“Mayday, Mayday”). In teoria, avrebbero potuto farlo anche i piloti Ryanair, tanto più che la virata verso Minsk sembra essere avvenuta vicinissimo al confine lituano, cioè al territorio Nato nel quale i MiG non sarebbero potuti entrare.

In realtà, l’equipaggio non poteva immaginare lo scopo del dirottamento e non aveva quindi alcun motivo di non collaborare. È quasi certo che, passato il primo momento di sorpresa, l’equipaggio abbia avvertito il centro operativo Ryanair che non sarebbe arrivato in orario. In che termini, non è dato sapere. Per spingersi più in là nell’analisi, sarebbe necessario sapere quando l’intercettazione sia avvenuta e, soprattutto, se l’avviso della bomba sia giunto prima o dopo.

La virata verso Minsk, avvenuta a circa 60 chilometri, sembra la fase conclusiva e non quella iniziale dell’intercettazione. È probabile che i MiG siano decollati poco dopo che il Boeing aveva sorvolato Aviyabaza, qualche minuto più a sud. Mentre l’ATC informava della minaccia, i MiG si sono affiancati e hanno fatto cenno al bireattore civile di seguirli. Il tempo di pochi chiarimenti, e l’equipaggio virava.

Qui iniziano i problemi di comprensione. Essendo Minsk molto più lontana di Vilnius, questo aumentava il rischio che l’eventuale bomba esplodesse. L’equipaggio ha chiesto di scendere di quota per depressurizzare, attenuando le possibili conseguenze? Non si sa. Ha provato a obiettare che fosse più sicuro proseguire? Non si sa. Gli è stato detto che Minsk è meglio attrezzato per gestire un’emergenza bomba? Non si sa. L’equipaggio ha avuto la sensazione che vi fosse qualcosa di strano e lo ha comunicato alla propria compagnia? Non si sa. La compagnia, poi, ha informato la Nato? Anche qui, buio fitto.

In caso di falsa bomba, la definizione di “dirottamento di Stato” usata da Michael O’Leary, patron di Ryanair, sembrerebbe calzarsi a pennello: al Boeing è stato impedito di arrivare al più presto sul più vicino aeroporto idoneo per gestire l’evento. In caso di minaccia generica, per esempio un terrorista a bordo, molti di questi problemi non esisterebbero e le regole sarebbero state seguite alla lettera.

In attesa della risposta a queste domande, proviamo a sintetizzare quanto emerso dalle verifiche fatte con vari addetti ai lavori, sia sul versante militare sia su quello civile, che hanno parlato a condizione di anonimità. La Bielorussia ha forzato le regole pur restando formalmente sempre al loro interno. Una volta arrivato a terra, il Boeing è stato effettivamente sottoposto a controlli per cercare una bomba: lo dimostrano le foto pubblicate dai giornali internazionali, a partire dal New York Times. Senza quei controlli, l’eventuale bugia sarebbe stata subito scoperta. La Nato avrebbe potuto insospettirsi, ma di norma la difesa aerea ha già abbastanza da fare seguendo le decine di migliaia di voli all’interno del proprio spazio aereo: figuriamoci all’interno di un altro, per quanto problematico. Tutto è rimasto sotto la soglia d’attenzione, tanto che Udem non avrebbe neppure messo in allarme gli F-35A della task force air Estonia “Baltic Eagle”.

Secondo i vari interlocutori, la Bielorussia ha sfruttato un’area grigia sotto il profilo normativo ed è improbabile che una inchiesta tecnica riesca a dimostrare che l’evento sia stato un “apparente atterraggio forzato” che “potrebbe essere in violazione della Convenzione di Chicago”, la norma del 1944 sull’aviazione civile internazionale. Sotto il profilo politico, la farraginosità delle procedure decisionali internazionali farà sì che eventuali modifiche saranno adattate tra molto tempo, costringendo le compagnie aeree a provvedere nell’unico modo possibile: cambiando rotte per evitare il sorvolo dei paesi poco affidabili. In questo caso, passando sulla Polonia.



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