Skip to main content

Tanto risparmio, pochi figli. L’Italia dopo la pandemia secondo Blangiardo (Istat)

Intervista al presidente dell’Istituto di statistica: la tenuta dei redditi di tante famiglie ha dimostrato la naturale vocazione al risparmio degli italiani. Ora i problemi sono una denatalità che sembra non arrestarsi e la ripresa dei consumi

Un Paese stravolto, bombardato da una crisi senza precedenti per natura ed effetti e in cui, Bankitalia dixit, sei famiglie su dieci fanno fatica ad arrivare a fine mese. Ma non per questo vinto. Gli italiani sono ancora un popolo di risparmiatori, che nei momenti di difficoltà riescono a sopravvivere grazie a una struttura del reddito e del risparmio estremamente robusta.

Semmai, i problemi dell’Italia sono altri, spiega a Formiche.net il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, statistico e accademico di lungo corso. Per esempio, il costante crollo demografico e il conseguente invecchiamento della popolazione. L’Italia non fa più figli, ma in compenso mantiene intatta la sua propensione, quasi storica, al risparmio.

Partiamo dal dramma della denatalità. Gli italiani non fanno più figli, c’è di mezzo la pandemia certo, ma forse anche anni di politiche sbagliate. Da dove ripartire?

L’affermazione secondo cui gli italiani fanno decisamente meno figli, diciamo pure assai pochi, è largamente supportata dai numeri. I 404 mila nati del 2020 sono il valore più basso di sempre e rappresentano la continuazione di una discesa che ormai risale a quasi quindici anni fa, e se poi andiamo a vedere le prospettive per il 2021, scopriamo che potrebbero anche subire un ulteriore ribasso. D’altra parte, mentre lo scorso anno il Covid ha lasciato un drammatico segno sul fronte dell’aumento della mortalità, è soprattutto quest’anno che se ne vedranno gli effetti, di segno opposto, nei riguardi della natalità.

Che cosa c’è a monte di tutto questo?

La paura, l’incertezza e le difficoltà di ordine socio-economico, indotte dalla pandemia, hanno quasi certamente condizionato in modo significativo il numero di nuove gravidanze a partire da marzo 2020 e non è un caso che già i dati sulle nascite degli scorsi mesi di dicembre e gennaio abbiano mostrato un significativo calo, rispetto agli stessi mesi dell’anno prima. Se dunque vogliamo ripartire, e invertire una tendenza che Covid ha solo aggravato, ma che preesisteva, occorre aggredirne le determinanti, che peraltro sono note da tempo.

Per esempio?

É necessario rimuovere tutti quegli ostacoli, in primo luogo il costo dei figli e le difficoltà nella cura e nella conciliazione del doppio ruolo di lavoratori e genitori (leggasi madri), che spingono gli italiani a rinviare le scelte riproduttive sino a rinunciarvi in alcuni casi. A tale proposito fa ben sperare che oggi si colga una maggiore sensibilità su questi temi, e si intravvedono iniziative, come l’assegno unico universale, che vanno nella giusta direzione. Però il cammino è ancora lungo e impegnativo, ed è necessario portarlo avanti sia intervenendo adeguatamente anche sul clima culturale, sia aggregando alle famiglie altri soggetti, come il privato sociale e il mondo delle imprese, che possono contribuire a creare un contesto amichevole e capace di avviare e sostenere la ripresa.

Un poco alla volta il Paese riapre e l’economia riparte. Ora però servono riforme vere per accompagnare l’azione del Pnrr. Qualche suggerimento?

L’Istat com’è noto non ha il compito di suggerire riforme, questo spetta ad altri . Eventualmente su richiesta del Parlamento o dell’Esecutivo ne valuta l’impatto o individua le platee cui sono destinate. E ciò che facciamo nelle numerose audizioni cui siamo chiamati dal Parlamento o in studi e Report richiesti dal governo o dagli amministratori locali. Posso dire che le proposte in campo per ripartire sono molte ed estremamente interessanti. Mi sembra in questo momento assolutamente cruciale cominciare a implementarle.

Blangiardo, 15 mesi di pandemia e diversi lockdown hanno provato non poco il tessuto socio-economico del Paese. Scattiamo una fotografia?

La prossima proiezione Istat sul Pil 2021 verrà diffusa a giugno, mentre la nostra ultima di dicembre indica una crescita attorno al 4% in termini reali, con un’uscita graduale dalla recessione imposta dalle misure anti-contagio dal secondo trimestre. La Commissione europea nelle previsioni diffuse il 12 maggio stima un +4,2% quest’anno e un +4,4% l’anno prossimo. Si tratta di valori da prendere con estrema cautela, data la grande incertezza che ancora ci circonda nonostante i numeri in calo sul fronte dei contagi. Diciamo che se queste previsioni fossero confermato ci troveremmo a fine 2022 con un Pil sotto il livello del 2019 di circa 16 miliardi in valori concatenati. E la ripresa non sarà accompagnata da un automatico recupero di occupazione. Ci sono segnali positivi ma siamo ancora lontani dai ritmi di crescita pre-pandemia.

Anche per il mercato del lavoro i dolori non sono finiti?

Nel primo quadrimestre il saldo tra attivazioni e cessazioni è tornato in positivo per 131mila posizioni, contro le oltre 230mila perdite registrate negli stessi mesi del 2020. Ci aspettiamo un graduale calo degli inattivi: per ricordare l’ultima previsione sul mercato del lavoro, quella degli Spring forecast della Commissione Ue, quest’anno il tasso di disoccupazione dovrebbe crescere di un punto, dal 9,2% del 2020 al 10,2%, e rimanere attorno al 10% anche l’anno prossimo. Le riforme annunciate e che dovranno accompagnare i programmi di investimento previsti nel Pnrr sono state definite “abilitanti”, capaci cioè di migliorare il potenziale di crescita e di produttività, data la dimensione del Piano di recovery questa volta agli annunci dovranno seguire atti concreti e una piena implementazione di queste riforme.

Gli italiani dinnanzi alle riaperture. Si attende una corsa alla spesa o una maggiore parsimonia?

Questa pandemia ha innescato un crollo dei consumi a fronte di una sostanziale tenuta dei redditi di tante famiglie, perlomeno quelle più protette dagli interventi fiscali dello Stato e che, per conseguenza, si sono auto-imposte un risparmio davvero importante. L’incremento è stato repentino e, secondo i dati della Banca d’Italia disponibili sino terzo trimestre dello scorso anno, avrebbe portato soprattutto a un aumento dei depositi bancari. L’ordine di grandezza di questo maggiore risparmio indotto dalla crisi è superiore agli 85-90 miliardi, secondo le ultime indicazioni, mentre i nostri conti indicano che nel secondo trimestre 2020 una propensione al risparmio delle famiglie consumatrici era salita al 18,6%. Siamo su valori circa doppi rispetto al pre-crisi.

Italiani popolo di risparmiatori. E domani?

Difficile dire oggi se questo eccesso di risparmio farà da molla per uno scatto dei consumi. Ma è probabile che queste famiglie normalizzeranno le loro abitudini di spesa nei prossimi mesi, seguendo le riaperture delle attività dei servizi.

×

Iscriviti alla newsletter