Da giovane attivista a coordinatore delle proteste contro il regime bielorusso, ecco chi è e cosa ha fatto (finora) Protasevich, arrestato domenica scorsa dopo che il suo volo Ryanair è stato dirottato
Il video di ventinove secondi ripreso con uno smartphone e pubblicato su un canale bielorusso filogovernativo mostra il dissidente Roman Protasevich, seduto, mani incrociate e pacchetto di sigarette sistemato sul tavolo. Sbatte spesso gli occhi, parla velocemente come se leggesse, guardando verso l’obiettivo. Il fondotinta fatica a dissimulare i segni del pestaggio a cui è stato sottoposto dalle autorità.
Protasevich è il motivo per cui l’autocratico presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha dirottato con la forza un volo Ryanair diretto a Vilnius, facendolo scortare da un caccia MiG-29 armato fino ai denti. L’unico ad aver capito il perché dello scalo a Minsk era proprio Protasevich, visibilmente terrorizzato quando il comandante ha annunciato la deviazione. Lui (26 anni) e la sua ragazza, anche lei attivista, Sofia Sapega (23), sono rimasti a terra quando l’aereo è ripartito, così come altri quattro misteriosi passeggeri col passaporto russo.
Perlomeno il video attesta che Protasevich è vivo. “Sono nel centro di detenzione numero 1 a Minsk,” dice alla videocamera; “posso dire di non avere problemi di salute, né con il cuore o con altri organi. Vengo trattato con rispetto e secondo la legge. In questo momento continuo a collaborare con la polizia e confesso di aver organizzato proteste di massa a Minsk”.
Il padre Dmitry Protasevich, parlando a Sky News, ha detto che “quelle non sono le sue parole, non è la sua intonazione, è molto riservato e si vede che è nervoso”. Il naso è molto probabilmente rotto, continua, il viso è segnato e perfino la marca di sigarette è sbagliata. Per quanto riguarda l’ammissione forzata, “non può ammettere di aver creato disordini di massa semplicemente perché non ha mai fatto nulla del genere”.
Chi è Roman Protasevich
Il ventiseienne è esperto nel combinare giornalismo e attivismo contro il regime di Lukashenko, lo fa da quando era adolescente. Ha studiato giornalismo all’università statale della Bielorussia (da cui fu espulso per aver partecipato a una manifestazione nel 2011) e ha lavorato come fotografo e reporter freelance per diverse testate, tra cui European Radio, raccontando le proteste contro il governo e trasmettendole in diretta via social. Nel corso degli anni è stato arrestato più volte.
“Era sempre il più coraggioso, sempre in prima linea vicino alla polizia”, ha detto alla CNN Franak Viacorka, che conobbe Protasevich da giovane e oggi lavora come consigliere della leader dell’opposizione bielorussa Sviatlana Tsikhanouskaya. “Era sempre fiducioso che anche dopo la prigione non lo avrebbero spezzato. Era come un pezzo di ferro, pronto a combattere. Sapeva quello che voleva, credeva davvero nella sua missione”.
Nel 2015 Protasevich co-fondò Nexta, un canale sull’app di messaggistica Telegram e componente cruciale del suo successo. Nel 2018, in riconoscimento per il suo attivismo, il giovane giornalista è diventato un membro della Vaclav Havel, un’iniziativa di Radio Free Europe/Radio Liberty (patrocinata dagli Usa) e del ministero degli esteri della Repubblica Ceca per formare a Praga i giovani giornalisti provenienti dalla Russia e dall’Europa dell’Est.
Nel 2019 Protasevich è scappato in Polonia per timore di ripercussioni da parte del KGB, i servizi segreti bielorussi (che non hanno mai cambiato nome dai tempi dell’URSS), portandosi dietro i genitori in un secondo momento. Trasferitosi in Lituania, ha continuato da remoto la sua attività contro il regime dell’ultimo dittatore d’Europa.
Nexta contro il regime
Agosto 2020: elezioni telecomandate da Lukashenko e l’inizio delle proteste più grandi della storia bielorussa. In pochissimo tempo Nexta, uno dei pochi canali a non essere stato oscurato dal blackout di internet imposto dal regime, è diventato il principale strumento di comunicazione e organizzazione dei manifestanti: lì si condividevano video e testimonianze dirette, lì si coordinavano le proteste, con informazioni su data, ora, luogo, come vestirsi e come eludere le forze dell’ordine. Protasevich, in qualità di editore-capo di Nexta, era il punto nodale di queste operazioni.
In pochi giorni Nexta (che significa “qualcuno” in bielorusso) ha guadagnato oltre 800.000 iscritti; oggi i due canali di cui si compone contano circa 2 milioni di iscritti combinati (per mettere il numero in prospettiva, la popolazione della Bielorussia ammonta a poco meno di 9,5 milioni).
A settembre 2020 il giovane attivista ha creato un altro canale Telegram, Belamova (che ora conta oltre 260.000 iscritti), con l’intento di raggiungere anche la parte rurale e la classe operaia della Bielorussia – ossia lo zoccolo duro dei sostenitori di Lukashenko e le persone meno sensibili alle manifestazioni.
A novembre 2020 il regime bielorusso lo ha inserito nella lista dei terroristi e lo ha condannato in absentia con tre capi d’imputazione relativi alle proteste, il più grave dei quali può valere 15 anni di detenzione. Anche se, come ha detto lo stesso Protasevich prima di atterrare a Minsk, non è assurdo pensare che possa andare incontro alla pena di morte.
Domenica scorsa l’oppositore stava tornando a Vilnius da Atene, dove aveva incontrato e fotografato Tsikhanouskaya durante un forum economico. All’aeroporto sapeva di essere seguito dal KGB, stando ai messaggi che ha inviato ai suoi collaboratori prima di decollare. Questi ultimi, appena appresa la notizia del suo arresto, hanno immediatamente revocato il suo accesso ai canali Telegram per evitare di compromettere i dati degli iscritti.
Stampa e regime
Lo scorso aprile è diventato chiaro che Minsk non ha paura di andare a prendersi i dissidenti all’estero quando i servizi segreti russi della FSB catturarono due oppositori a Mosca e li consegnarono alla Bielorussia. In seguito, il viceministro dell’interno Nikolai Karpenkov si è prodotto in questa dichiarazione raggelante: “ricordiamo alla nostra opposizione assetata di sangue e fuori controllo che li conosciamo tutti. Sappiamo dove si trovano, con chi parlano, dov’è la loro casa e dove sono le loro famiglie. Fate sapere loro che la vendetta è inevitabile”.
La libertà di stampa in Bielorussia è nel mirino di Lukashenko. La settimana scorsa il regime ha bloccato Tut.by, il sito di notizie indipendente più letto, e martedì ha arrestato quattro dei giornalisti che ci lavoravano. A diverse testate è stato proibito di stampare le versioni cartacee dei loro quotidiani, per limitarne la circolazione tra la classe operaia. E lunedì il presidente ha formato una nuova legge che, tra le altre cose, proibisce di trasmettere video dalle manifestazioni non autorizzate e impedisce i finanziamenti stranieri alle organizzazioni di media.
A poche ore dalls pubblicazione del video di Protasevick ne è apparso uno simile che mostra l’attivista e compagna di lui, Sofia Sapega, mentre “confessa”. Intanto le manifestazioni continuano in sordina dallo scorso agosto, grazie a realtà come Nexta. L’opposizione bielorussa in esilio stima che finora siano stati imprigionati circa 34.000 manifestanti.
Quanto successo domenica scorsa con il dirottamento del volo Ryanair non fa che dimostrare quanto in là possa spingersi Lukashenko per sopprimere il dissenso. L’Europa ha proceduto a sanzionare la Bielorussia per il caso Protasevich, anche se, come scrive Laura Harth su queste colonne, probabilmente le misure diplomatiche non sortiranno l’effetto sperato. Martedì Tsikhanouskaya ha chiesto ai Paesi del G7 di aumentare la pressione su Minsk e partecipare al summit di giugno.