Il Ponte sullo Stretto è finito per diventare un miraggio inseguito da tutti; il simbolo inafferrabile di una stagione di rinnovamento del Paese. Un’opera evocativa che ha colorato lo storytelling politico-istituzionale degli ultimi decenni. Ma cosa pensano gli italiani? Il barometro di Roberto Arditti
Era l’estate del 250 a.C. e il console romano Lucio Cecilio Metello doveva trasportare sulla Penisola oltre cento elefanti che i legionari erano riusciti a strappare al condottiero cartaginese Asdrubale durante la battaglia di Palermo. Non sapendo come fare il console fece disporre in fila sul mare delle botti vuote legate a due a due e “formò un passaggio di tavole coperte da terra e da altre materie e fissò parapetti di legno ai lati affinché gli animali non avessero a cascare in mare”.
Ad oggi, quello raccontato dallo storico greco Strabone, resta l’unico (per quanto temporaneo) Ponte sullo Stretto di Messina mai realizzato. Il sogno di un collegamento infrastrutturale tra la Sicilia e il Continente ha poi attraversato svariate epoche ed ancora oggi, nonostante i passi da gigante della tecnica, resta tale a causa dell’inefficienza burocratica e della mancanza di coraggio politico.
Così il Ponte sullo Stretto è finito per diventare un miraggio inseguito da tutti; il simbolo inafferrabile di una stagione di rinnovamento del Paese. Un’opera evocativa che ha colorato lo storytelling politico-istituzionale degli ultimi decenni: prima come ambizione faraonica del Cavaliere assunta ad emblema della nuova Italia berlusconiana, poi come battaglia di bandiera strappata al centrodestra da Matteo Renzi ed infine come soluzione rispolverata dal Giuseppe Conte nonostante la traversata a nuoto di Grillo e l’ostilità viscerale del Movimento verso le grandi opere.
E anche adesso, tramontata l’ipotesi dell’inserimento tra le opere prioritarie del Pnrr, le speranze sul futuro del Ponte che si erano riaccese con l’insediamento del governo Draghi tornano nuovamente ad offuscarsi. Eppure, come ci mostra una rilevazione Swg, la maggioranza (relativa) degli italiani si dichiara favorevole alla costruzione di un’opera per collegare l’isola più popolosa del Mediterraneo al resto d’Italia.
47% è infatti la quota di italiani favorevoli alla realizzazione di un Ponte o di un tunnel per lo Stretto, soltanto 32% sono invece i contrari. Tuttavia restano ancora delle forti resistenze sulla realizzazione dell’opera, condizionate dallo schieramento politico d’appartenenza.
La fotografia è infatti quella di un Paese spaccato a metà. Da una parte ci sono gli elettori del centrodestra che, in nome della battaglia identitaria della coalizione un tempo guidata da Berlusconi, si dicono favorevoli ad un collegamento infrastrutturale. Dall’altra parte della barricata ci sono invece i supporter del M5S e una cospicua quota di quelli del Partito democratico convinti che non sia il caso di fare costruzioni sullo Stretto.
Al netto delle opposizioni politiche, il consenso resta però di notevoli proporzioni. E allora, viene spontaneo chiedersi: cosa aspetta l’esecutivo a rilanciare questa sfida? La costruzione del Ponte manderebbe innanzitutto un messaggio molto chiaro al resto d’Europa ed agli investitori internazionali, dimostrando che l’Italia ha cambiato marcia e che adesso è finalmente competitiva su una partita così decisiva per l’economia come quella infrastrutturale. Inoltre, l’opera diventerebbe la prova più evidente del risoluto pragmatismo draghiano, capace d’invertire la sequenza “classica” del nostro Paese, passando dall’annuncio cui segue solo talvolta la concreta realizzazione al trionfo dei fatti sulle parole.
Il Ponte sarebbe dunque il simbolo più fulgido della “rinascita” italiana, capace di una operazione di immenso valore simbolico soprattutto al di fuori dei confini nazionali. Per il governo Draghi è arrivato il momento di buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Facciamo dunque questo Ponte, lo aspettiamo dalle guerre puniche.