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L’epidemia del debito. In Cina rischiano il contagio anche costruzioni e ferrovie

Dopo la crisi del colosso di Stato Huarong, adesso gli investitori temono l’insolvenza delle società di ingegneria e di costruzioni, motore della via della Seta ed esposte per oltre 600 miliardi di dollari verso il mercato

Aveva ragione Gordon Gekko, lo spregiudicato finanziere protagonista indiscusso della saga di Wall Street, quando definisce il prestito, e dunque il il debito, “sistemico e maligno”. In Cina sta succedendo esattamente questo: il fortissimo indebitamento del sistema finanziario cinese sta lentamente contagiando quello industriale. Tutto nasce, come raccontato a più riprese da Formiche.net, dalla crisi di Huarong, colosso statale e primo gestore del debito cinese, privato e sovrano, esposto per miliardi di yuan verso il mercato.

Il pagamento dei bond emessi lo scorso anno per farsi prestare liquidità dal mercato, previsto per questa primavera, è stato rimandato a data da destinarsi. Per gli investitori è l’anticamera dell’insolvenza, come si è visto dalla crisi di nervi che ha portato alla fuga di alcuni di loro, poi al crollo del titolo in Borsa e infine al declassamento da parte di Fitch. Ma Huarong è solo la prima spia dell’allarme debito.

Tanto è vero che proprio pochi giorni fa è stato reso noto l’aumento esponenziale dei declassamenti delle obbligazioni societarie cinesi, più che triplicati quest’anno. Al punto che ben 366 obbligazioni corrispondenti ad altrettante imprese sono state declassate nei primi quattro mesi del 2021. Un dato oltre tre volte superiore alle 109 obbligazioni declassate nello stesso periodo di un anno fa e che denota il progressivo deterioramento del debito cinese.

Ora, se possibile, le cose sembrano complicarsi ulteriormente e coinvolge due pilastri dell’economia del Dragone, le costruzioni e le infrastrutture ferroviarie. Cresce lo stock di debito in pancia alle grandi società di ingegneria, il grosso delle quali di proprietà statale. Ma soprattutto, come ha raccontato l’autorevole testata finanziaria Nikkei, i sottoscrittori di bond emessi da tali società temono che Pechino non abbia la forza di salvarle da eventuali default.

Con l’aumento delle passività delle società cinesi di ingegneria civile e di costruzioni impegnate in progetti di lavori pubblici per sostenere l’economia, i premi sulle valute estere sono in aumento. Le obbligazioni sono sotto pressione perché gli investitori credono che il governo cinese non salverà più le imprese di proprietà statale. Un improvviso aumento delle insolvenze da parte di grandi mutuatari aziendali in Cina potrebbe scuotere i mercati globali. I numeri giustificano una simile paura.

Da qui al 2023 le società di costruzioni e i general contractor, le stesse impegnate nella traballante via della seta d’Africa, devono onorare obbligazioni per 2,1 trilioni di dollari, il 60% in più rispetto al valore delle obbligazioni scadute tra il 2018 e il 2020 e di cui una larga fetta, circa il 30%, sono ascrivibili al settore delle infrastrutture e dei trasporti. Di questo enorme debito verso il mercato, quasi 800 miliardi vanno in scadenza quest’anno, mentre altri 750 nel 2022. A colpire è inoltre il ritmo forsennato delle emissioni di bond, che si consentono alle imprese di Stato di raccogliere liquidità altrimenti assente, ma che gonfiano il debito.

La China State Railway Group, le ferrovie cinesi per intendersi, solo quest’anno deve rimborsare quasi 100 miliardi di dollari di bond. Più in generale le società di ingegneria civile e di costruzioni ferroviarie debbono al mercato oltre 600 miliardi di dollari, più o meno il 30%, di tutte le obbligazioni societarie cinesi in scadenza entro il 2023. E il governo di Pechino sembra orientato a non garantire il rimborso dei bond nella sua interezza e questo per un motivo molto semplice: garantire un debito mostruoso, seppur delle proprie aziende, potrebbe esporre la Repubblica Popolare a un rischio troppo elevato. Tradotto, tali aziende devono farcela da sole.

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