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Paese che vai, debito che trovi. Se anche la Cina sperimenta il mal d’Africa

Primi effetti di un debito ormai troppo pesante. Pechino ferma due cantieri per l’Alta Velocità da 130 miliardi di yuan a causa dell’insolvenza dei governi locali, riproponendo in casa un copione già visto in Africa. E pensare che la Cina punta tutto o quasi sulle ferrovie per tornare a macinare Pil…

Finché succede in Africa è un conto. Ma quando accade in casa propria, allora la musica cambia. La Cina sperimenta sulla propria pelle gli effetti devastanti di un debito fuori controllo e ad alto tasso di contagiosità pagando pegno di tasca propria. Lo schema è quello già visto nell’ambito della via della seta cinese: un governo locale fortemente indebitato non riesce a rimborsare parte del prestito concesso dalle banche del Dragone per finanziare un’infrastrutture strategica, ponte, strada o ferrovia che sia. E così, complice la natura a dir poco opaca dei finanziamenti concessi dalla Cina, per Pechino non resta che prendersi pezzi di economia africana a buon mercato, a titolo di garanzia o risarcimento, mentre l’opera subisce gravi rallentamenti.

Su tutti vale il caso, abbastanza clamoroso, del Kenya, dove il governo di Nairobi è arrivato a un passo dal dare il porto di Mombasa a garanzia di un prestito da 3,2 miliardi di dollari erogato dalla Export Import Bank of China. Ora un canovaccio molto simile si ripete in terra cinese. A causa del crescente debito del governo locale di Shandong, le autorità centrali della Repubblica Popolare hanno ordinato di sospendere i lavori relativi a due progetti ferroviari ad Alta Velocità nelle province di Shandong e Shaanxi. E non sono opere da poco, come dimostra l’investimento a monte dei cantieri, oltre 130 miliardi di yuan, circa 20 miliardi di dollari. Questo perché il governo locale è finito a un passo dal crack, diventando insolvente. Risultato, quasi 300 chilometri di Alta Velocità rimarranno almeno per il momento sulla carta.

E pensare che lo sviluppo delle ferrovie è l’asse portante della strategia di sviluppo della Cina, che nel 2021 punta a un Pil del 6%, se non dell’8%. Ma di pari passo va la preoccupazione crescente per l’elevato indebitamento dei governi locali e delle province, chiamate a rimborsare il prestito concesso dalle quattro banche statali cinesi per la realizzazione delle opere. In particolare, come racconta l’autorevole quotidiano asiatico Nikkei, a Pechino si respira una certa preoccupazione per le regioni settentrionali e occidentali, la cui capacità di rimborsare il credito è stata messa a dura prova a causa della riduzione degli stimoli fiscali  e delle entrate a causa della pandemia.

Insomma, il settore trainante, almeno secondo il vertici del partito comunista, dell’economia, e cioè le ferrovie, rischia di subire un brusco stop, causa debito. I numeri, come al solito, aiutano a capire e comprendere la situazione. Da qui al 2023 le società di costruzioni e i general contractor, le stesse impegnate nella traballante via della seta d’Africa, devono onorare obbligazioni per 2,1 trilioni di dollari, il 60% in più rispetto al valore delle obbligazioni scadute tra il 2018 e il 2020 e di cui una larga fetta, circa il 30%, sono ascrivibili al settore delle infrastrutture e dei trasporti.

Di questo enorme debito verso il mercato, quasi 800 miliardi vanno in scadenza quest’anno, mentre altri 750 nel 2022.  Senza considerare che ben 366 obbligazioni corrispondenti ad altrettante imprese sono state declassate nei primi quattro mesi del 2021. Un dato oltre tre volte superiore alle 109 obbligazioni declassate nello stesso periodo di un anno fa e che denota il progressivo deterioramento del debito cinese. Non un buon programma.


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