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Ora la Cina chiama Alibaba per lo yuan digitale. Schizofrenia? No, potere

Dopo l’attacco frontale all’impero di Jack Ma, ora il Dragone annuncia di aver bisogno della tecnologia di Ant per portare a termine il suo progetto per la valuta di Stato virtuale. A cominciare dalla banca dati. La tecnica è nota: prima ti indebolisco, e poi sfrutto le tue risorse

Prima l’attacco frontale, violento. Poi l’apparente ribaltamento del tavolo. Succede anche questo in Cina, dove la politica industriale è fatta di improvvisi e lancinanti affondi nei settori produttivi dell’economia. Ne sanno qualcosa le grandi imprese del fintech, da Alibaba a Tencent. Giganti ammutoliti dalla potenza del Dragone (qui l’ultimo, clamoroso caso, quello di Tencent) a colpi di multe antitrust, ristrutturazioni coatte, Ipo fallite per mano dello Stato. Eppure adesso la Repubblica Popolare chiama, nel nome della moneta virtuale.

Altra corsa globale a cui la Cina, come raccontato a più riprese da Formiche.net, non può certo sottrarsi.  La Banca centrale cinese, quella stessa Pboc che ha chiesto se non preteso l’intera banca dati sui pagamenti di Ant, braccio fintech di Alibaba, ha infatti firmato un accordo di cooperazione strategica proprio con Ant per costruire una piattaforma tecnica idonea alla sua valuta digitale sovrana. In altre parole, realizzare un veicolo innovativo con cui gestire l’intero volume di transazioni da effettuarsi con la nuova valuta. Pechino non può farlo da sola, per questo ha chiesto l’aiuto di Ant che grazie alla sua tecnologia gestisce miliardi di transazioni all’anno, mediante la propria struttura per i pagamenti, Alipay. Ora, tutto questo va spostato sul baricentro dello yuan digitale.

La Cina corre verso l’introduzione sul mercato della versione digitale della propria moneta. Il progetto per la creazione dello yuan virtuale risale al 2014 e da quel momento molti progressi sono stati fatti. L’obiettivo, dichiarato, è quello di sostituire parte del contante in circolazione e di utilizzare la nuova valuta per i pagamenti al dettaglio a livello nazionale prima e all’estero in un momento successivo (ma per quello serviranno accordi specifici con i regolatori non cinesi).

In particolare, il governo cinese necessità di due asset di proprietà di Alibaba. E cioè il database di Ant, Ocean Blue, lo stesso oggetto delle mire della Pboc e della piattaforma mobile Mpaas. Ora, come scritto dal Global Times, non è chiaro se sia Alibaba, sia l’altra big coinvolta, Tencent, abbiano dato il loro assenso dopo quanto avvenuto. D’altro canto, Pechino non può fare a meno di una simile tecnologia fintech, senza la quale sarebbe impossibile mettere in piedi l’infrastruttura immaginata dallo staff del presidente Xi Jinping.

La cautela delle due aziende potrebbe trovare fondamento nel timore di molti analisti. Mettere le mani sugli asset di Alibaba, mascherando il tutto con una collaborazione, potrebbe rivelarsi un trucchetto per entrare direttamente nel capitale del gruppo fondato da Jack Ma. La nazionalizzazione di parte dell’universo fintech era nei piani della Repubblica Popolare. La quale, fallita la statalizzazione, ha ripiegato sulla trasformazione di Ant in holding a vigilanza pubblica.

Nel frattempo, Pechino ha lanciato un altro siluro al fintech. Ovvero la multa da 10 miliardi di yuan (1,6 miliardi di dollari) comminata a Tencent.  Ufficialmente, il colosso viene accusato di pratiche scorrette e anticompetitive, soprattutto in alcuni business come quello musicale attraverso la società Tencent Music Entertainment Group. Ma forse l’obiettivo è un altro.

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