L’analista Neil Kimberley sostiene che non basterà arrivare per primi nelle monete virtuali per soppiantare il dollaro come valuta di scambio globale. Intanto le obbligazioni emesse dalle grandi imprese del Dragone e ancora non onorate toccano la cifra record di 100 miliardi di yuan
Le due facce della Cina. C’è la finanza innovativa, quella più all’avanguardia, che corre verso nuovi traguardi, come lo yuan digitale che fa sempre più paura a chi teme, a buon vedere, un attacco al sistema globale degli scambi basato sul dollaro americano. E poi c’è quella più tradizionale, tutta azioni, Borsa e debito. L’economia del Dragone vive uno strano momento.
Da una parte si appresta a centrare, prima tra le grandi economie mondiali, l’obiettivo di creare una moneta sovrana ma virtuale, emessa dalla Banca centrale, la Pboc e previo arruolamento coatto dei giganti del Fintech, piegati a suon di multe ed espropri ai voleri di Pechino. Dall’altra c’è un debito molto pubblico e anche un po’ privato, che rischia di mandare a gambe all’aria alcuni degli asset più pregiati dell’ex Celeste Impero, il colosso di Stato Huarong, tanto per dirne uno.
Partendo proprio da questo ultimo aspetto, all’ombra della Grande Muraglia sta succedendo qualcosa di pericoloso e preoccupante. E cioè un’impennata senza precedenti dell’indebitamento presso del grandi imprese del Dragone che per raccogliere liquidità dal mercato debbono per forza di cose emettere obbligazioni. Ebbene, secondo i calcoli di Bloomberg, nei primi quattro mesi dell’anno lo stock di obbligazioni emesse e non ancora onorate ammonta a 100 miliardi di yuan. Guardando agli anni precedenti, si tratta di un ritmo di emissione ben maggiore. Questo rende il sistema industriale cinese fortemente esposto con i creditori internazionali.
“Ad oggi le società cinesi sono inadempienti sulle obbligazioni a un ritmo mai registrato, tanto che nel 2021 non sono riuscite a effettuare pagamenti su 99,8 miliardi di yuan (15,5 miliardi di dollari) di obbligazioni onshore emesse”, ha scritto l’agenzia di stampa finanziaria. “Solitamente il muro dei 100 miliardi viene sfondato a settembre, al nono mese dell’anno. Invece ora tale target è stato raggiunto nel mese di aprile. E pensare che nel 2015, quando il mercato azionario cinese è crollato, le obbligazioni non rimborsate ammontavano a soli 8,9 miliardi di yuan”.
Ovviamente il caso emblematico di tale situazione a dir poco delicata (oltre al debito societario, c’è da fare i conti con l’ondata di sofferenze bancarie e con una mai conclamata bolla immobiliare) è il gigante pubblico del debito Huarong, la cui crisi “ha sollevato nuove domande sulla effettiva capacità del governo cinese di sostenere le proprie aziende”, ha scritto ancora Bloomberg. Ma rimane un problema di esposizione ai creditori, che la Cina finora non ha mai sperimentato. Come se non bastasse poi, anche le obbligazioni offshore per ora non onorate sono aumentate, registrando un totale di 3,7 miliardi di dollari tra gennaio e febbraio: quasi la metà degli 8,3 miliardi di dollari dell’intero anno 2020.
Fin qui i guai della finanza reale. Poi c’è l’altra faccia della medaglia, la corsa allo yuan virtuale. Qui per la Cina c’è una cattiva notizia, nonostante la valuta virtuale sia ormai a portata. Se l’obiettivo del Dragone è soppiantare la centralità del dollaro nei pagamenti e nelle transazioni, allora sarà il caso di rivedere la missione. Perché la battaglia con il dollaro, ha spiegato l’analista ed economista inglese ex Reuters, Neal Kimberley, non si vince solo con la moneta. Serve un contesto favorevole agli investimenti, libero mercato e regole flessibili per spostare il baricentro degli scambi. Tutte cose che la Cina non ha.
“Negli Stati Uniti non c’è nessun controllo sui capitali, ma ci sono chiari diritti di proprietà per di più imposti da una magistratura indipendente. Il tutto a fronte di rendimenti interessanti e tanta liquidità. Tutte cose che in Cina non sono previste. Per questo lo yuan digitale può far male fino a un certo punto al dollaro. Gli Stati Uniti nel corso dei decenni hanno creato un ambiente di investimento che si è dimostrato irresistibile per gli investitori stranieri e che continuano, fino ad oggi, a mantenere il dollaro a epicentro dei mercati valutari”, ha scritto l’analista.
“Nessun altro posto sulla Terra può attualmente soddisfare queste condizioni nella loro interezza. Lo yuan virtuale potrebbe realisticamente sfidare il dollaro statunitense, ma creare un ambiente di investimento in Cina che abbia attributi equivalenti a quello degli Stati Uniti è qualcosa di molto lontano”.