Ribatte a tono al ministro delle Finanze Scholz, promette di riformare le regole Ue e tedesche sul debito. Annalena Baerbock, candidata dei Verdi per succedere a Merkel, metterà fine all’era dell’austerity europea? Dubbi e scenari
Paladini dell’anti-austerity, unitevi! C’è una nuova speranza per chi vuole mettere nel cassetto dei ricordi le politiche europee di austerità: Annalena Baerbock. Quarant’anni, candidata dei Verdi tedeschi per succedere ad Angela Merkel, ha gli occhi puntati di mezza Europa, quella al di sotto del Reno, da quando ha promesso che porrà fine, una volta eletta, all’era dei “falchi” tedeschi sul debito e deficit.
Che i Grünen non siano fan accaniti della parsimonia fiscale non è certo una novità. La novità, semmai, è che per la prima volta nella storia rischiano di prendersi da soli il cancellierato. I sondaggi per le elezioni di settembre vedono la Baerbock veleggiare intorno al 28%, con un distacco ormai consolidato dalla Cdu di Armin Laschet, ferma al 22%.
Ecco che allora la promessa di voltare pagina a Berlino e, di conseguenza, a Bruxelles, non è più solo una promessa. Basta fermarsi a guardare l’ultimo battibecco fra la Baerbock e il ministro delle Finanze di Merkel Olaf Scholz, candidato della Spd e da sempre strenuo avvocato della causa austera.
Ancora due anni, ha detto il ministro della Merkel, e la pacchia è finita: nel 2023 si torna alle vecchie regole di contenimento del deficit, dopo una pandemia che ha costretto il governo a sforare non di poco, con un disavanzo record di 130 miliardi di euro per il 2020 e 240 miliardi per il 2021. Baerbock non ci sta: “Non possiamo farlo”, ha tuonato in un’intervista all’emittente Ard. “Io la vedo in maniera diversa dal ministro delle Finanze. Se abbiamo un enorme buco nel bilancio è perché veniamo da un anno di coronavirus”.
Il cambio di passo è scritto nero su bianco nel programma dei Verdi. C’è la promessa di 50 miliardi di euro in investimenti extra ogni anno, per dieci anni, in infrastrutture green.
C’è, soprattutto, l’impegno a riformare la Costituzione tedesca, sciogliendo il vero nodo che tiene impigliate Germania e Ue alla dottrina dell’austerity. Cioè quella previsione che obbliga gli Stati federali a limitare l’indebitamento federale allo 0,35% del Pil annuale. I Verdi vogliono aggiungerci un asterisco, con una deroga per gli investimenti pubblici nella protezione climatica, infrastrutture, sanità, istruzione.
L’impresa è più facile a dirsi che a farsi: per cambiare quella regola serve una maggioranza di due terzi sia al Bundestag che al Bundesrat. Ovvero la benedizione della Cdu, che è un terno al lotto. È vero, Merkel ha lasciato tutti a bocca aperta quando un anno fa ha dato il suo beneplacito allo stanziamento monstre dell’Ue di 750 miliardi di Recovery Fund. E però da qui a farne la nuova linea del partito ne passa.
Per farsi un’idea, citofonare a Helge Braun, il capo dello staff della Merkel che lo scorso gennaio, in un articolo per l’Handelsblatt, ha timidamente avanzato la proposta di rivedere la golden rule sul deficit alla luce del Covid.
Apriti cielo. I papaveri del partito gli hanno riversato addosso una valanga, con tanto di tirata d’orecchie da parte di Laschet in un incontro con i parlamentari a porte chiuse (che tanto chiuse non erano), chiedendo di “coordinarsi” con i vertici prima di fare questi scivoloni (il povero Braun ha poi fatto marcia indietro con un tweet in cui dichiarava di “amare” la regola anti-deficit).
Insomma, la strada per la rivoluzione (fiscale) è tutta in salita. Dopotutto, ridurre Baerbock e i suoi Verdi a una crociata anti-austerity sarebbe un bell’azzardo. È vero, nel manifesto online del partito campeggia ancora una frase eloquente: “L’imprenditore intelligente non risparmia, investe. Lo Stato intelligente fa lo stesso”. E il programma europeo è anche più ambizioso: i Grünen vogliono riformare il Patto di Stabilità e rendere permanente il Next generation Eu.
Ma la vera cifra della nuova leva Verde che miete tanto successo sotto la guida di Baerbock è il pragmatismo, quello che servirà se, come probabile, bisognerà scendere a patti per fare un’alleanza con la Cdu o i socialdemocratici all’indomani del voto.
Non è un caso se nel partito, ha scritto Greg Ip sul Wall Street Journal, si guarda con una certa diffidenza a taluni eccessi della sinistra americana tutta spesa che tallona l’amministrazione di Joe Biden. Con una sintesi più Dc che verde, la leader del gruppo parlamentare a Bruxelles (e amica della Baerbock) Ska Keller ha detto di recente a Formiche.net: “Crediamo che la politica del taglia-tutto non serva a nulla, così come non è opportuno gettare il denaro dalle finestre”.
Per dirla con il direttore dell’European council on foreign relations (Ecfr) Mark Leonard, se si dovesse cercare un motto per spiegare il successo di Baerbock, sarebbe “reform without disruption”, “riformare senza distruggere”. La rivoluzione può aspettare ancora un po’.