Senza scuola, non c’è più la Chiesa. Per questo papa Francesco ha scelto per Hong Kong un vescovo-professore, il gesuita Stephen Chow. Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News, racconta la resistenza cattolica e democratica. Ma l’intesa fra Cina e Santa Sede “è già morta”
La vera trincea per difendere la libertà religiosa e di pensiero a Hong Kong è fatta di banchi, cattedre, lavagne. Senza una scuola libera non esiste, non esisterà più una libera Chiesa. Anche per questo il Vaticano ha scelto per la missione più delicata un vescovo che ha un lungo trascorso accademico. Sulle spalle di Stephen Chow, gesuita, 61 anni, a Hong Kong dal 2019, grava ora un’enorme responsabilità, spiega a Formiche.net padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews.
Cervellera, chi è Stephen Chow?
I confratelli a Hong Kong lo descrivono come un uomo capace, colto, ha alle spalle tre lauree importanti, ha lavorato a lungo nel mondo dell’educazione. Un elemento che, probabilmente, ha pesato nella scelta del Vaticano.
Perché?
La Chiesa cattolica a Hong Kong è una potenza educativa. Ha trecento scuole che educano, fanno catechesi, ospitano messe. Scuole paritarie, riconosciute dal governo in virtù di un accordo che risale ai tempi del governo inglese.
L’accordo reggerà?
C’è il timore che le autorità possano togliere il sostegno e cercare di controllare di più il sistema educativo. Fra il 2019 e il 2020, diverse persone, anche all’interno del governo, hanno attribuito all’educazione cattolica i movimenti democratici di protesta.
Cosa succede se le scuole finiscono sotto il controllo del governo?
Senza la scuola, l’attività pastorale a Hong Kong perde qualsiasi sostegno. Molte parrocchie sono legate a doppio filo alle scuole. Usano per l’oratorio e il catechismo palestre, aule magne. Finché ha retto il principio “Un Paese, due sistemi” , l’educazione è rimasta libera. Ora quel sistema rischia di crollare.
A Hong Kong torna un gesuita. Un’arma in più per parlare con Pechino?
I gesuiti hanno una grande esperienza educativa sul campo, gestiscono due collegi a Hong Kong e a Wah Yan, lo stesso Chow ne è stato supervisore. La Compagnia ha recentemente ristrutturato la provincia gesuita in un’unica, grande provincia che comprende Taiwan, Hong Kong, Macao e la Cina popolare. Ha mantenuti i contatti con Pechino e offerto aiuto durante la pandemia.
La sede era vacante dal 2019. Cosa spiega questa lunga assenza?
Bisogna chiederlo al Vaticano, che finora ha negato un’interlocuzione con Pechino sulla scelta del successore. Io credo che a Roma si siano trovati di fronte a un dilemma. Scegliere un vescovo più vicino al movimento democratico o al governo centrale. Per la prima figura circolava il nome di Joseph Ha, per la seconda quello di Peter Choi. Hanno individuato una via mediana.
Molti dei manifestanti arrestati in questi anni sono cattolici. La fede pesa sulla persecuzione?
Non so se sono imprigionati anche perché sono cattolici. So che sono imprigionati in quanto attivisti del movimento democratico che la Cina vuole distruggere. Ma è anche vero che essi sono democratici perché cattolici.
Cosa può fare la Chiesa?
Non molto, da quando è entrata in vigore la Legge sulla sicurezza nazionale. Durante le prime manifestazioni contro la legge sull’estradizione il cardinale John Tong ha chiesto il rispetto della democrazia e un’inchiesta indipendente sull’operato della polizia. Ora c’è molta più cautela. Ma la Chiesa c’è e continua a portare avanti una fondamentale opera di evangelizzazione e carità per i poveri a Hong Kong.
L’intesa fra Santa Sede e governo cinese darà i suoi frutti?
Temo di no, quell’intesa è già morta. Lo ammettono sottovoce anche alcune personalità del Vaticano. Da quando è stato firmato l’accordo più due anni fa sono stati nominati solo tre vescovi. Nel frattempo la Chiesa sotterranea continua ad essere bersagliata senza pietà. Vescovi agli arresti domiciliari, sacerdoti cacciati dalle parrocchie, chiese e conventi distrutti. È una persecuzione senza fine.