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Dai Rafale all’Eni, serve un nuovo asse Roma-Parigi. Firmato Jean

La vendita di 30 Rafale francesi all’Egitto è un avvertimento che Roma non deve ignorare. La bandiera italiana sventola ancora alta al Cairo grazie ad Eni. Ma nel Mediterraneo serve un patto di coesistenza con Parigi. L’analisi del generale Carlo Jean

Le relazioni politiche ed economiche fra l’Italia e la Francia sono state sempre complesse, variabili nel tempo, influenzate dai contesti esterni: transatlantico, europeo e mediterraneo. Oggi, risentono anche delle preoccupazioni per la crescente presenza asiatica nel Mediterraneo e in Africa.

Storicamente, i francesi non sono solo “italiani dai modi più gentili”. Hanno un solido Stato e, come afferma Sergio Romano, sono costantemente alla ricerca di un “modello perduto”. Lo perseguono con la realpolitik e con il business. Con la Germania, in Francia domina la gelosia. Con l’Italia, la competizione. La Francia vuole dettare le sue regole all’Europa. Non può farlo senza dominare politicamente ed economicamente l’Italia.

Dopo l’unità italiana, la Francia – che l’aveva facilitata intervenendo contro l’Austria nel 1859 – si sentì frustrata. Cercò di destabilizzare il nuovo Regno. Conscio della propria debolezza, accresciuta dalla retorica delle “mani nette”, Roma aveva bisogno di due alleati: uno a Nord; l’altro nel Mediterraneo.

Sul continente fu la Germania. A Sud la Gran Bretagna. Finché fra Londra e Berlino non esistettero contrasti, Roma non dovette scegliere. Quando sorsero, dovette farlo. Scelse bene nel 1915 e si trovò dalla parte dei vincitori, divenendo una grande potenza europea. Male nel 1940 e fu sconfitta, occupata e distrutta.
Il periodo d’oro della geopolitica italiana fu la guerra fredda.

Oltre ai vantaggi delle scelte di campo atlantica ed europea, che le permisero prosperità e sicurezza, la sua importanza strategica diede all’Italia rilevanti rendite di posizione. La benevola protezione degli Usa – dominanti sia nel Mediterraneo sia in Europa Centrale – le permise una certa libertà d’azione verso il mondo arabo e anche verso Mosca.

La seppe sfruttare con capacità. Truman aveva sostenuto l’Italia già nel Trattato di Pace, contro l’ambizione di de Gaulle che voleva annettere alla Francia la Val d’Aosta, per punire l’Italia del coup de poignard del 1940. La Francia facilitò l’entrata dell’Italia nella Nato, per includervi l’Algeria.

I contrasti e le punzecchiature fra i due paesi sono stati numerosi. L’Eni appoggiò la rivolta algerina. Nel 1995, l’Italia condannò all’Onu la ripresa degli esperimenti nucleari francesi e, per ritorsione, Chirac cancellò il Summit annuale italo-francese, che si teneva dal 1983. Nel 2019, una delegazione del M5s, includente esponenti del governo, incontrò i gilets jaunes, provocando il richiamo dell’ambasciatore francese a Roma.

In Italia, con un misto di gelosia e di frustrazione, si è polemizzato sul disinvolto ruolo di Sarkozy in Libia e sul franco Cfa, anche se si è lucrato sulle disgrazie della decolonizzazione francese. In generale, non si è saputo reagire alle iniziative francesi, neppure alle provocazioni dei doganieri di Parigi a Bardonecchia e Cesana. Parigi ha fatto saltare l’accordo fra Fincantieri e la Stx, ha accolto decine se non centinaia di terroristi italiani e ha sostenuto apertamente il comportamento predatorio di banche e imprese francesi in Italia.

La turbolenza delle relazioni italo-francesi ha ragioni di fondo. Per la Francia, l’integrazione europea è stata soprattutto un mezzo per bilanciare la potenza tedesca, attribuendosi la rappresentanza dei paesi mediterranei. Per l’Italia rimane invece la premessa della modernizzazione. Diffusa è in Italia la percezione dell’arroganza della Francia e dei suoi obiettivi di grandeur.

Meno avvertita è la sua volontà di usare l’Italia per bilanciare la Germania. L’Europa sia per i tecnocrati che per i populisti francesi, è l’Europa delle Nazioni, non quella federale vagheggiata dai “padri fondatori democristiani”, sostenuta almeno retoricamente dalla classe politica italiana. Con Draghi, le cose stanno cambiando, anche se il prestigio di un capo politico non è in grado di mutare radicalmente il peso di un paese.

Per Parigi, l’Europa è quella reale, basata su trattati contingenti. E’ un’Europa in corso di frammentazione: geo-economica fra Nord e Sud; geo-politica, fra Ovest ed Est. Vi dominano i rapporti di forza e di debolezza. È multipolare. Necessita di una ricostruzione, la quale richiede uno sforzo comune.

Il pregiudizio diffuso a Parigi sull’inaffidabilità italiana, sulla debolezza di Roma e sulla sua incapacità di restituire “pan per focaccia” come in Libia, va superato. Anziché terreno di conquista, l’Italia va considerata partner. Il processo è in atto. Sarà graduale. Le gelosie continueranno.

La Francia domina ormai il Mediterraneo Orientale per l’appoggio dato a Cipro e alla Grecia e per le massicce esportazioni di armi ad Atene e al Cairo. L’Italia si accontenta di manifestazioni di protesta e di manifesti, suscitando ironie e sarcasmi. Per fortuna, l’Eni, per ora, tiene alta in Egitto la Bandiera italiana.

Il Covid-19, le difficoltà interne di Macron, l’indisponibilità dell’Italia e della Spagna di allinearsi con Parigi contro Berlino (per la Grecia è diverso date le politiche neo-ottomane della Germania e dell’Uk), le falle sempre più evidenti nel Patto franco-tedesco (Eliseo e Aquisgrana), il parziale disimpegno Usa, l’attivismo turco, il ritorno della Russia e la comparsa della Cina in Mediterraneo e il caos libico, sfuggito di mano all’Europa anche per i contrasti fra Roma e Parigi e quello crescente nel Sahel, potrebbero aver convinto Parigi a cambiare politica.

Tale mutamento non può che consistere nel riconoscimento della dignità dell’Italia come rispettato partner e nell’accettazione della sua diversità d’identità e d’interessi.

Il mutamento è dimostrato dal fatto che non si parla più del “Patto del Quirinale”, analogo ma di fatto subordinato a quello franco-tedesco. Anche se ridotto a semplici consultazioni, esso favorirebbe unicamente la Francia. Creerebbe problemi fra Roma e Berlino.

La Brexit ha indebolito la posizione italiana rispetto al patto franco-tedesco. All’Italia conviene un accordo a tre, non in uno bilaterale con la Francia. Come nell’accordo sul nucleare iraniano e nel recente incontro con Xi Jinping per l’Intesa sugli Investimenti (Cia), inevitabilmente Parigi e Berlino non terranno conto di Roma.

Altre prove del miglioramento dei rapporti italo-francesi sono la decisione di restituire qualche terrorista italiano che aveva trovato rifugio in Francia, la creazione di Stellantis e la cessazione dei contrasti fra Mediaset e Vivendi.

Da parte italiana, c’è da ricordare la partecipazione alle operazioni nel Niger e soprattutto alla Task Force Takuba a guida francese nel Mali. La cooperazione militare si svolge regolarmente sebbene le priorità di Parigi (antiterrorismo) siano differenti da quelle di Roma (immigrazione).

Restano comunque aperti ulteriori spazi di collaborazione fra i due paesi sia nel Mediterraneo allargato (specie nel Bacino Levantino) sia in Africa, sia bilaterali sia nel quadro UE, anche nei settori delle alte tecnologie e degli armamenti, oltre che in quelli dell’immigrazione e dell’anti-terrorismo.

La base per attivarli è la condivisione del fatto che un’Ue frammentata o “geo-politicamente multipolare”, malgrado la Bce e gli eurobonds, rende impossibile agli europei competere con le potenze emergenti e anche mantenere vitali i legami transatlantici, che presuppongono l’esistenza di una politica comune verso la Cina e la Russia.

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