L’ex ministro del Lavoro e deputato dem: nel Pnrr c’è abbastanza attenzione al mercato del lavoro, ma serve una spinta maggiore di natura sociale. Più sicurezza e un adeguamento delle misure anti-crisi all’andamento della pandemia, a cominciare dal blocco dei licenziamenti. Lo smart working? Più che una legge serve un contratto nazionale
La pandemia ha riscritto equilibri e certezze del mercato del lavoro italiano, di un sistema complesso ma senza il quale non è possibile immaginare crescita e tanto meno benessere. Ora, il governo Draghi ha la missione storica di portare a casa 250 miliardi di risorse europee, molte delle quali destinate ad aggiornare un mercato che non può più essere quello di prima. Formiche.net ne ha parlato con Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro nel governo Prodi (2006-2008), già deputato dem e con un passato ai vertici della Fiom.
Questi sono i giorni in cui si decidono le sorti del Pnrr italiano. Vede abbastanza lavoro nel Recovery Plan che porta la firma di Mario Draghi?
Credo sia necessario imprimere una spinta sociale alla transizione, un termine che ora va molto di moda. A mio avviso occorre un rafforzamento della parte dedicata all’infrastruttura sociale, vale a dire la tutela della salute, un sistema previdenziale più flessibile attento, in modo particolare, a chi svolge lavori usuranti e gravosi, un sistema di ammortizzatori sociali per accompagnare i lavoratori nella crisi. Insomma, un abito su misura per il mercato del lavoro nel tempo della crisi e oltre la crisi stessa.
E tutto questo c’è? E se sì, in che misura?
Mi pare che il ministro Orlando stia lavorando molto positivamente nell’elaborazione di questi dossier. Vorrei però che questo enorme volume di risorse non fosse soltanto una risposta quantitativa alle esigenze dell’economia, ma anche qualitativa e sociale. Faccio un esempio: secondo l’Inail nei primi quattro mesi dell’anno i morti sul lavoro sono aumentati dell’11%, complice anche la pandemia con l’equiparazione del virus ad infortunio. Ma la mortalità sul lavoro è superiore all’effetto pandemia. Tutto questo per dire che la prevenzione va praticata.
E come farlo?
Con una moral suasion sulla sicurezza sul lavoro e sul finanziamento di attività di prevenzione per le imprese che decidono di ammodernarsi per ridurre la mortalità sul lavoro. L’Inail in questo sta facendo un grande sforzo, per esempio con la diminuzione dei premi assicurativi alle imprese che investono in sicurezza. Oggi, grazie ai bilanci virtuosi dell’Inail, ci sono 34 miliardi in deposito presso la Tesoreria, soldi devoluti dalle imprese per i premi assicurativi e che vengono risparmiati. Perché, allora, non investire parte di queste risorse in sicurezza sul lavoro?
Tra poche settimane cadrà il primo pezzo di muro contro i licenziamenti. Più volte si è indicato come antidoto una riforma degli ammortizzatori sociali. Può funzionare?
Ho sottolineato in varie occasioni come sarebbe stato un errore chiudere il blocco dei licenziamenti a giugno, senza guardare all’andamento della pandemia. Anche stavolta mi pare che il ministro Orlando sia stato attento e abbia raccolto queste preoccupazioni espresse anche dai sindacati, facendosi promotore della proroga del blocco fino alla fine di agosto. Mi sembra un segnale importante. A mio avviso però bisognerebbe garantire che il blocco dei licenziamenti e il prolungamento della cassa Covid procedano in sincrono, con le stesse date di scadenza, e siano calibrati in base all’andamento del Covid. Ecco, ammortizzatori, blocco dei licenziamenti e cassa Covid devono camminare alla velocità della pandemia e della ripresa economica, o avremo un effetto tsunami sull’occupazione.
Il 2020 è stato certamente l’anno dello smart working. Non pochi osservatori hanno fatto notare come serva una regolamentazione più profonda e verticale per il lavoro agile. Lei che dice?
Una legge sul lavoro agile c’è, ma ha una cornice normativa debole. Più che una nuova legge serve la contrattazione, Quelli dei metalmeccanici e delle TLC, ad esempio, che ha affrontato il problema stabilendo due principi. Primo, il lavoro agile è lavoro subordinato e ha uguali diritti di chi sta sempre in presenza e secondo, il diritto alla disconnessione: è un inizio, ma non basta. Servono norme contrattuali più precise