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De Maistre e i suoi fratelli, alle origini del pensiero conservatore

Gennaro Malgieri legge alcuni testi rappresentativi che alimentano le ragioni del conservatorismo. Tra questi spicca la riedizione del volume di Joseph de Maistre (1753-1821), caposcuola della rivolta contro la modernità illuminista, che è una profonda meditazione politico-morale dalla quale il nuovo conservatorismo potrebbe assumere punti di vista non occasionali

Si parla molto di conservatorismo. È un buon segno. Perfino partiti politici che mai si sarebbero sognati di definirsi tali, ne assumono il nome e perfino qualche concetto anche se sono lontani dall’elaborazione compiuta di una dottrina che dovrebbe applicarsi alla prassi politica.

A tal fine i testi, non pochi in verità, che alimentano le ragioni del conservatorismo facendolo derivare dai principi controrivoluzionari, reazionari e tradizionalisti, non sono pochi. Tra i tanti spicca la riedizione del volume di Joseph de Maistre (1753-1821), caposcuola della rivolta contro la modernità illuminista, Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane, riproposto dalle Edizioni Fiducia, a cura di Roberto de Mattei (pp.79, euro 15,00) che è una profonda meditazione politico-morale dalla quale il nuovo conservatorismo potrebbe assumere punti di vista non occasionali.

De Maistre scriveva il suo Saggio quando l’inversione di tutti i valori tradizionali e la decadenza degli ideali che fino ad allora avevano informato gli istituti politici, facevano presagire alle intelligenze più avvertite di quali proporzioni fosse la catastrofe che oggi noi vediamo con chiarezza. In quel tempo, immediatamente dopo il 1789, la voce di de Maistre, attraverso i suoi scritti, fu molto di più che un grido di rivolta, rappresentando per la sua generazione e per quelle successive un costante punto di riferimento dottrinario come Burke, von Halller, Barruel, de Bonald, Donoso Cortés, Barbey d’Aurevilly, tra gli altri, con la differenza che per l’acutezza dell’ingegno (basta ricordare le intelligenti polemiche contro Voltaire) e per il particolarissimo rigore ideologico, tutti li sopravanzava.

La disgregazione sociale e morale che segna il nostro tempo e l’irresponsabilità politica della maggior parte delle classi dirigenti occidentali hanno origini e cause molto lontane che i numerosi politologi di ispirazione laicista non comprendono perché la prospettiva nella quale si pongono è quella della “desacralizzazione” delle società affluenti e dello scadimento della vita conseguente all’abbandono di una trascendente dimensione, legittima l’analisi critica del disfacimento avvertito perfino da osservatori ed autori che nulla hanno a che fare con il pensiero conservatore.

Infatti, come scrive nell’Introduzione de Mattei “in un’epoca che proprio nella perdita del sacro ha la sua determinante, la legittima funzione di queste pagine di de Maistre sembra essere appunto quella di ricordarci che il fondamento delle società e degli Stati è divino e sacrale è il loro fine. La riaffermazione di questa verità è la prima e più necessaria condizione per la sua riconquista sociale”.

Conforme al diritto naturale, la tesi di de Maistre è che l’autorità, come la libertà, ha origine spirituale e quindi l’uomo non può creare sovrani, rigettando così le teorie contrattualistiche, hobbesiane e rousseauiane. Consapevole della funzione positiva della religione nelle società, de Maistre afferma: “Le nazioni più celebri dell’antichità, soprattutto le più grandi e le più sapienti, come gli egiziani, gli etruschi, i lacedemoni, i romani, avevano precisamente le costituzioni più religiose; e la durata degli imperi è stata sempre proporzionata al grado di influenza che il principio religioso aveva acquisito nella costituzione politica. Le città e le nazioni maggiormente dedite al culto divino sono sempre state le più sagge come i secoli più religiosi sono sempre stati quelli contraddistinti dal genio”.

A conforto della sua tesi de Maistre adduce l’azione dei colonizzatori in America, rilevando che “da tre secoli siamo là con le nostre leggi, le nostre arti, le nostre scienze, la nostra civiltà, il nostro commercio, il nostro lusso; quali vittorie abbiamo riportato sullo stato selvaggio? Nessuna. Distruggiamo quegli infelici con le armi e con l’acquavite, li respingiamo a poco a poco nell’interno dei deserti, finché non scompaiono interamente, vittime dei nostri vizi quanto della nostra crudele superiorità”. C’è qualcosa di più “moderno” ed efficace nello stigmatizzare l’offesa che la civiltà globale arreca al diritto dei popoli di queste parole di de Maistre che dovrebbero fungere da incipit politico di ogni azione che volesse definirsi conservatrice?

L’insopprimibile bisogno di conformarsi ai principi della lex aeterna è evidente soprattutto oggi, nel momento in cui abbiamo sostanzialmente rinunciato ai valori che dovrebbero informare la nostra esistenza per rincorrere l’illusione utopica e vivere di un effimero edonismo in un “paradiso” plastificato dove domina la menzogna elevata a credo pseudo-religioso.

De Maistre è una delle strade che portano alla verità, scomoda e difficile per le piccole coscienze che affollano la scena presente, ma non certo per chi nutre la speranza di un domani migliore avendo fatto proprio l’assioma del grande savoiardo secondo cui “per bruciare una città basta un bambino insensato; per ricostruirla sono necessari architetti, materiali, operai, milioni e soprattutto tempo”.

Le idee di de Maistre si sposano con quelle di un altro straordinario teorico controrivoluzionario, Louis de Bonald (1754-1840) del quale D’Ettoris editori pubblica Le leggi naturali dell’ordine sociale. Sovranità, governanti e governati , arricchito da un invito alla lettura di Mauro Ronco e curato da Oscar Sanguinetti (pp. 208, euro 17,90). L’autore della Théorie du pouvoir social, testo tra i più importanti di dottrina politica, in questo saggio “minore” si sofferma sulla origine divina dell’autorità temporale e critica serratamente il pensiero giacobino. Con la sua opera, de Bonald ha concorso, come sostiene Ronco, “in modo rilevante a formare quella prima biblioteca contro-rivoluzionaria che fu utilizzata dai cattolici per contrastare nel XIX secolo l’avanzata implacabile del processo rivoluzionario nella sua prima fase specificamente liberale”. Non vide compiersi nell’organizzazione sociale e politica le sue idee che tuttavia restano a testimoniare l’inestirpabilità del diritto naturale e dell’autorità dalle società civili. Scrive: “Il potere costituito è come la chiave di volta a cui tutte le componenti della società nel suo insieme si appoggiano: esso sostiene la loro spinta e le mantiene al loro posto con la sola sua posizione. In generale basta un grande uomo che dia il primo impulso alla macchina dello Stato e i suoi successori dimostreranno sempre sufficiente talento, se sapranno regolarne e trattenerne il moto”. L’archetipo di tale uomo era per Bonald Carlo Magno, che diede all’Europa cristiana l’impulso che essa tuttora conserva, nonostante lo si ignori.

Sul pensiero anti-illuminista, va segnalato il saggio di Diego Benedetto Panetta, Il pensiero Controrivoluzionario. Onore, fedeltà e bellezza al servizio di Dio, edito da Historica-Giubilei Regnani, con la prefazione di Giovanni Turco (pp. 266, euro 20,00), nel quale l’autore propone in sequenza una serie di autori “politicamente scorretti”, da Edmund Burke a Nicolás Gómez Dávila il più grande pensatore reazionario i cui Escolios sono una miniera di sapienza alla quale il mondo conservatore dovrebbe attingere a piene mani.

Per chi volesse, infine, approfondire le ragioni e i sentimenti che si opponevano alla diffusione dei miti illuministici e rivoluzionari ha pure a disposizione il poderoso volume edito da Nino Aragno nella consueta elegante veste tipografica, La buona causa. Storie e voci della reazione in Italia (pp.693, € 40,00) curato da Stefano Verdino. Si tratta di una antologia sistematica di scritti dei più attenti osservatori e critici del “tempo nuovo” che molti flagelli avrebbe prodotto tra popoli e Stati. È un utile volume che compendia alcuni dei maggiori scritti di Muzzarelli, de Maistre, Marchetti, Thjulen, Tonso, Carpani, Vergani, Cesari, Capece Minutolo di Canosa, Monaldo Leopardi, il cardinale Lambruschini, Bresciani, Belli, Taparelli, Solaro della Margarita, don Bosco, ed altri ancora. Figure per lo più sparite dalla pubblicistica che hanno avuto un peso straordinario nello svelare le menzogne rivoluzionarie e nel rivolgersi al popolo minuto con opere di bene di grande spessore umano e sociale, come don Bosco, appunto, figura chissà perché messa in ombra negli ultimi decenni dalla Chiesa stessa.

Reazionari, controrivoluzionari, tradizionalisti che offrono ancora oggi le motivazioni e il sostegno a un pensiero conservatore che non voglia essere volatile, ma insediarsi permanentemente, come mai è accaduto in Italia, sullo scenario politico sostenendo, con l’apporto di teorici non effimeri, le ragioni di un equilibrio politico fondato sul diritto naturale.



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