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I decreti attuativi, una specialità italiana nel cortocircuito della democrazia

L’Italia è paralizzata da norme “monche”, prive dei decreti attuativi. Alla legge di Bilancio 2020 ne mancano 57 su un totale di 122 richiesti (il 46,7%). Il colmo è il decreto Covid Semplificazioni. Alla misura pensata per rendere più agevole l’assegnazione degli appalti mancano 31 decreti attuativi su 37, l’83,8%. L’analisi di Antonio Mastrapasqua

Tra le originalità che ci contraddistinguono in Europa, e di cui possiamo non andare fieri, c’è il “decreto attuativo”, specialità quasi esclusiva dell’amministrazione sub-alpina. Al Nord delle Alpi le leggi sono leggi “complete”, nel cui testo c’è scritto che cosa fare, quando farlo, come farlo. La nostra normativa predilige invece il semplice conferimento dell’autorità, l’indicazione del potere attribuito. Alle nostre latitudini, l’applicazione della norma di legge, per produrre i suoi effetti, deve prevedere uno o più decreti attuativi, senza i quali la legge resta lettera morta, incapace di produrre gli effetti per i quali è stata compilata e approvata, limitandosi a enunciare solo i principi generali di riferimento.

Con il termine “decreto attuativo” – una locuzione che sta entrando, ahimé, nell’abitudine del lettorato quotidiano – si intende in generale un decreto ministeriale (o interministeriale) prescritto da una legge, la quale, dopo aver delineato i principi fondamentali di una data materia, ne affida l’esatta definizione tecnica e le modalità di attuazione al ministero competente, incaricato di formulare appunto il “decreto attuativo”.

“In base ai dati messi a disposizione dall’Ufficio per il programma del governo – si legge in un recente report curato da Openpolis – sappiamo che gli atti aventi forza di legge approvati definitivamente dall’inizio di questa legislatura sono 171 e di questi 95 richiedono almeno un decreto attuativo per la loro piena applicazione. In tutto, le attuazioni richieste cumulate dal 2018 a oggi ammontano a 1.178, di cui 675 (il 57,3%) ancora mancano all’appello”. Il Governo Draghi ha ereditato questa montagna di attese non solo dal Governo Conte 2, ma anche dalla prima compagine guidata da Giuseppe Conte.

Tra le norme analizzate, quella con il maggior numero di attuazioni mancanti è la legge di Bilancio 2020 con 57 decreti attuativi non ancora pubblicati su un totale di 122 richiesti (il 46,7%). Troviamo poi due misure legate all’emergenza coronavirus; il decreto Rilancio di cui mancano all’appello ancora 43 decreti attuativi su un totale di 137 (il 31,4%) e il decreto Agosto (intendiamo agosto 2020, ovviamente) ancora carente di 40 attuazioni su 63 (il 63,5%). La norma con la percentuale più alta di attuazioni mancanti sul totale di quelle richieste è però il decreto Covid Semplificazioni. Una misura che era stata pensata appositamente per rendere più agevole l’assegnazione degli appalti pubblici, anche come strumento di rilancio per l’economia. Ad oggi, però, mancano ancora all’appello 31 decreti attuativi su 37, l’83,8%.

La statistica si esercita su dati poco esaltanti. Dati che spiegano l’immobilismo, che giustificano – si fa per dire – l’incapacità di tradurre i programmi in atti, le risorse in opere. Con buona pace dei timori che nascono inevitabilmente dal rischio di non vedere utilizzati i 248 miliardi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr).

Ma in questo orizzonte sarebbe lecito chiedersi se non si sia verificato un cortocircuito della democrazia stessa. Mi spiego: buona parte delle nostre leggi – non solo in questo periodo dell’emergenza Covid – deriva dalla conversione di decreti-legge. Predisposti e ammessi per il manifestarsi di questioni di “necessità ed urgenza”, i decreti legge, poi trasformati in legge ma senza l’ausilio dei decreti attuativi, finiscono per essere norme la cui applicazione si dilata nel tempo, ben oltre il breve orizzonte delle finalità di “necessità e urgenza” che avevano giustificato la stessa predisposizione del decreto-legge.

E non è questione da legulei. E’ argomento della democrazia. Il decreto-legge, per la sua natura, forza sempre un po’ il processo legislativo, sottraendo al Parlamento un poco della sua potestà specifica, quella del Legislatore. Ma se l’esito non è nemmeno quello del “governo” – visto che gli effetti non si dispiegano senza i decreti attuativi – c’è da chiedersi se non si sia perpetrato un abuso. Tanti abusi. Senza aver incassato alcuna “positività” da questa forzatura ripetuta.

C’è chi ha suggerito di dotare fin dall’inizio – dalla stesura del decreto-legge – le norme proposte con i decreti attuativi, da modificare poi eventualmente così come si viene a modificare la norma, nel corso dell’iter parlamentare di conversione in legge. Sarebbe il modo di far affacciare un po’ di buon senso.

Pochi giorni fa, proprio su “Formiche”, Massimo Balducci ha suggerito una strada ancora più radicale: cambiare la modalità di scrittura delle leggi (disegni o decreti che siano): “Perché, anziché far preparare separatamente il testo di disegno di legge e i testi dei decreti attuativi, non si dà disposizione affinché l’ufficio legislativo dei ministeri predisponga un testo di legge definito in termini di processo (cosa fare, quando farlo, come farlo) in modo da rendere inutile i decreti attuativi?”.

Ne va dell’efficienza dei processi amministrativi nel Paese, ne va della stessa democrazia costituzionale che non può fare a meno di proporsi un percorso certo e riconoscibile, coerente con le sollecitudini economiche e sociali, ma rispettoso delle prerogative parlamentari.

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