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Destra di governo e destra amministrativa? Una è di troppo. Il mosaico di Fusi

Destra di governo e destra amministrativa sono un ossimoro. C’è spazio solo per una. Chissà quando è in agenda il vertice per stabilire l’addio all’una o all’altra. O la loro fusione in un progetto credibile e percorribile per il Paese. Il mosaico di Carlo Fusi

La primavera sboccia e non basta la rondine di un incontro in formato ridotto per farla esplodere. Per cui il vertice “minore” del centrodestra sulle candidature amministrative va preso per quello che è: il primo passo di sherpa destinati a farsi da parte quando (assai presto) il gioco diventerà duro.

Tuttavia il clima di concordia che ha contrassegnato la riunione con tanto di “riavvicinamento” Salvini-Meloni e l’indicazione di candidature d’antan per Milano e Roma, vecchiotte quanto basta per non scontentare nessuno ma chissà quanto davvero praticabili, stridono con il panorama sul fronte opposto, dove l’asse Pd-Cinquestelle rimane al palo e lo spettro Virginia, sondaggi alla mano, disturba i sonni del Nazareno trasformandoli in incubi corposi e dolenti.

Insomma andando al sodo non è tutto oro quel che luce da una parte; non è totale addio ad ambizioni e prospettive dall’altra. Però la differenza si vede, emerge lampante ad occhio nudo e mediatico. La partita delle amministrative, che è bene ricordarlo si svolgerà con il semestre bianco già iniziato, è la prova generale di quel che potrebbe accadere se le Camere fossero sciolte anticipatamente, diciamo l’anno prossimo. Il confronto nelle città misurerà i rapporti di forza tra schieramenti e singole forze politiche. Rafforzerà o incrinerà leadership vecchie e nuove. Dunque è importante, importantissima.

A destra la capacità di rassodarsi pur scontando divaricazioni profonde, è nota e rodata. Può essere che anche in questa occasione si manifesti, consentendo a quel contenitore di prevalere. Soprattutto a Roma una possibile vittoria del centrodestra suonerebbe come un gigantesco campanello d’allarme per Letta e Conte (o è Di Maio? Chissà).

Però c’è anche un’altra considerazione che si impone. E cioè che oltre la “destra di governo”, ossia il concerto tra Lega, FI, Cambiamo e forze minori che sostengono l’esecutivo Draghi, adesso si appresta a manifestarsi e scendere in campo anche la “destra amministrativa” che intende mostrare i muscoli e gettare il suo peso sulle urne. Questa seconda si differenzia dalla prima per la presenza di Giorgia Meloni. Sono due frontespizi di un edificio che alla fine ne dovrà obbligatoriamente mostrare uno solo agli elettori.

Non sarà impossibile, come pare. Ma non sarà neanche facile. Regioni e Comuni dovranno gestire i fondi del Recovery. Fondi la cui destinazione ed erogazione verrà decisa al centro. Cioè Lega e Forza Italia (premier permettendo, ma come può escluderli?) saranno nella governance delle risorse europee mentre FdI resterà a guardare. Però poi Regioni e Comuni reclameranno la loro parte e la loro autonomia, e in questo ambito la Meloni si farà sentire eccome.

Dunque, il problema è come far coesistere e procedere il Giano bifronte di una coalizione che si spezza a monte e poi cerca di riunirsi a valle. È il problema della maggioranza di unità nazionale sulla quale Salvini ha scommesso e Meloni cerca di segare appena può. È il dilemma di leadership che competono senza esclusione di colpi e compulsano i sondaggi con ansia o soddisfazione e di candidati sindaci che invece quella impressione devono cancellare in nome della superiore concordia e dell’ebrezza che la gestione del potere produce.

Tuttavia non c’è scampo. La destra di governo non può esistere senza o addirittura contro Fratelli d’Italia, partito che veleggia verso il 20 per cento. Né al contrario può materializzarsi dovendo scontare al suo interno un fronte del no continuo e disgregante. Per cui le amministrative contano eccome, la destra di periferia è importantissima ma prima (nella scelta del nuovo Capo dello Stato) o poi (nel momento elettorale) dovrà presentarsi dotata di un mastice di coerenza e credibilità di cui al momento non c’era traccia. Si tratta di un appuntamento fondamentale non solo per i partiti di quell’assemblaggio ma per l’intero Paese.

Se davvero il centrodestra dovesse prevalere nelle urne, poco importa quando si apriranno, sarà chiamato a governare le riforme implementate dal governo Draghi e misurarsi con la crescita del Pil che fortunatamente pare più solida delle previsioni. Dovrà cioè dimostrare di essere all’altezza di una sfida che deve riportare l’Italia dell’alveo della crescita. Non potrà farlo avendo legata alle caviglie la zavorra di un conflitto con Bruxelles né con un impianto ideale che occhieggia a burocrazie e assistenzialismo. Destra di governo e destra amministrativa sono un ossimoro. C’è spazio solo per una. Chissà quando è in agenda il vertice per stabilire l’addio all’una o all’altra. O la loro fusione in un progetto credibile e percorribile per il Paese.



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