Skip to main content

Di Maio si scusa di anni di giustizialismo, i suoi mandanti no. La versione di Cazzola

Non intendiamo fare processi alle intenzioni. In politica contano gli atti e quello compiuto dal ministro degli Esteri è sicuramente importante. Ma esiste una responsabilità personale anche nel chiedere scusa

Si sono mobilitati tutti  – politici, retroscenisti, commentatori d’antan, conduttori di talk show ed altre umanità – a magnificare la conversione garantista di Luigi Di Maio sulla via di Lodi. Pare che persino Simone Uggetti (l’ex sindaco che fu oggetto del Tso pentastellato ) si sia commosso, alla stregua di quel nobile milanese che – come  racconta il Manzoni nel suo capolavoro –  di fronte al pentimento di fra’ Cristoforo si lascia sfuggire un: “Diavolo d’un frate! Se rimaneva lì in ginocchio, ancora per qualche momento, quasi quasi gli chiedevo scusa io, che m’abbia ammazzato il fratello”.

Non intendiamo fare processi alle intenzioni. In politica contano gli atti e quello compiuto dal ministro degli Esteri è sicuramente importante. Ma esiste una responsabilità personale anche nel chiedere scusa. Andiamoci piano, allora, nell’attribuire a Di Maio il merito di aver fatto ‘’tana per tutti’’ gli appartenenti alla sua confraternita. Poche ore prima che il ministro prendesse carta e penna, i senatori del M5S avevano inscenato una gazzarra in Aula contro Roberto Formigoni, il quale chiede soltanto che gli organi giurisdizionali di Palazzo Madama esaminino il suo caso con imparzialità (almeno, il Celeste ha avuto il merito di concentrare su se stesso l’indegna persecuzione riservata ad Ottaviano Del Turco).

Bisognerebbe ricordare, poi, che il M5S difende ancora la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado  e l’ignominia della legge Spazzacorrotti. Ciò premesso, i quotidiani (quasi tutti) quelli che hanno dedicato molto spazio alla lettera di Di Maio, si sono impegnati – tramite articoli e interviste – a ricostruire i misfatti giustizialisti (e le tragedie personali che hanno prodotto per le vittime e le loro famiglie) sui quali i ‘’grillini’’ hanno fondato la loro identità e realizzato la “prise du pouvoir” nelle elezioni del 2018 (sono il solo partito rimasto in maggioranza  e al governo da allora, nonostante le disavventure che gli sono capitate).

È singolare, però, che nel rammentare (magari con un sottofondo di riprovazione, un bel po’ farisaico) la storie delle gogne pentastellate, i quotidiani e i tg si siano dimenticati di aggiungere le loro scuse a quelle di Di Maio, perché senza la grancassa delle prime pagine (o di ore ed ore di trasmissioni televisive) ispirate dalle veline del Minculpop delle Procure, i ‘’grillini’’ si sarebbero limitati ad abbaiare alla luna. Dove si sono svolti i processi e pronunciate le condanne se non nei tribunali surrettizi mediatico-giudiziari? Se il clima era quello della caccia alle streghe e del linciaggio a cui si erano arresi  – alla ricerca del consenso – anche i partiti non populisti? Se nel Paese aveva attecchito la legge di Lynch, quale poteva essere mai la linea di condotta dei forcaioli, sicofanti e becchini? Lo ricordiamo tutti il caso di Filippo Penati, accusato ingiustamente ma abbandonato dal partito.

Nei giorni scorsi la cronaca milanese del Corriere della sera, ha riportato la notizia che all’architetto a Renato Sarno (75 anni), uno dei coimputati nelle vicende giudiziarie di Penati, erano stati riconosciuti 80mila euro di risarcimento per l’ingiusta carcerazione di 134 giorni  “al gabbio” e di altri 48 agli arresti domiciliari. Non occorre molta fantasia per immaginare quale danno  irrecuperabile e non risarcibile – sul piano personale, familiare, professionale ed economico –  possa aver subito un architetto coinvolto per anni in una vicenda giudiziaria di quel tipo. Tornando al “ravvedimento operoso’” di Luigi Di Maio (poi si è aggiunto sempre su Il Foglio, anche  quello di Matteo Salvini che non avrebbe potuto essere da meno sulla strada della redenzione) sui giornali sono apparse alcune interviste di persone alle quali le campagne di diffamazione hanno ‘’devastato la vita’’.

Il Corriere  ha sentito Federica Guidi, figlia di un noto imprenditore, nominata ministro dello Sviluppo economico nel Governo Renzi, che fu indotta a dimettersi senza neppure essere indagata, a causa di una telefonata (privata ma registrata e resa pubblica come prova della macchinazione) tra lei e il suo compagno. L’imprenditrice ricorda con una tragica ironia la battuta con cui si era definita, in quella conversazione: “una sguattera del Guatemala”, una definizione da allora divenuta virale. Ma chi pubblicò vistosamente quella intercettazione peraltro di dubbia legalità, contribuendo a svillaneggiare il ministro in tutti i bar Sport della provincia italiana?

Più o meno la stessa sorte toccò a Maurizio Lupi, reo di aver mandato il figlio ad un colloquio di orientamento professionale post-laurea con Ercole Incalza, uno dei migliori  tecnici dei trasporti e delle infrastrutture che, per sua sventura, è stato vittima di un numero impressionante di arresti e di processi da cui è sempre uscito assolto con formula piena. Su Il Foglio viene ricordata la vicenda di Stefano Graziano, consigliere del Pd in Campania che nel 2016 fu indagato per concorso esterno in associazione mafiosa (un’accusa infamante  poi archiviata in pochi mesi). Fu talmente violento l’attacco mediatico – con i ‘’grillini’’ in prima fila – che sua moglie non riuscì più ad allattare la figlia di cinque mesi. Sempre a Napoli potremmo ricordare la vicenda giudiziaria di Antonio Bassolino, grande collazionatore di processi e di assoluzioni in ogni grado di giudizio, a cui fu proibito – come ex sindaco di Napoli – di salire sul palco durante una manifestazione del suo partito.

Chissà se nel corso delle sue disavventure giudiziarie Bassolino si sia pentito di essersi ‘’distinto’’ – come scrive Filippo Facci nel suo “30 aprile 1993” –nelle manifestazioni contro il voto della Camera sulle richieste di autorizzazione a procedere per Bettino Craxi? Ma non sono qui a scrivere la cronaca nera del giustizialismo e dei delitti compiuti al grido di “onestà’’. Ci tengo solo a ricordare che le tv e i giornali che oggi rievocano gli autodafé del grillismo militante, hanno sempre alimentato e sostenuto le sue campagne. Ma la malapianta del giustizialismo, dell’assassinio mediatico  è stata coltivata da un altro protagonista che poi è il responsabile di “prima istanza”: le procure, il burattinaio che ha fatto ballare le marionette. Senza le grandi indagini farlocche, smentite in giudizio (Tempa rossa, le spese pazze dei consiglieri regionali, i bambini rapiti di Bibbiano e quant’altro è stato ripescato in queste ore dall’immondezzaio della cronaca giudiziaria) non sarebbero maturati il contesto e il clima che hanno distrutto delle persone, delle famiglie, delle comunità poi riconosciute innocenti dopo anni di limbo, attenzione. Per capire come stanno veramente le cose, si legga un passaggio estremamente significativo di un colloquio tra Simone Uggetti e Luciano Capone su Il Foglio. L’ex sindaco di Lodi ammette: prima ancora degli attacchi del M5S  fu il gip a scrivere di lui che aveva una “personalità negativa e abietta”. Non risulta che quel magistrato abbia chiesto scusa.


×

Iscriviti alla newsletter