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Don Sturzo, Flaiano e il Pnrr. Il commento di Celotto

Perché oggi possiamo pensare che sia davvero la volta buona per semplificare la burocrazia? Il Pnrr utilizza 53 volte la parola “semplificazione”, ma al fondo individua due binari di intervento che potranno davvero fare la differenza. E se non faremo così, non arriveranno i soldi europei

“L’eccesso di leggi e la loro scarsa chiarezza ostacolano la vita dei cittadini e frenano le iniziative economiche. La semplificazione della legislazione è intervento riformatore essenziale per favorire la crescita del Paese e supporta trasversalmente tutte e sei le missioni del Pnrr”.

Siamo a pagina 64 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) approvato questa settimana dal Consiglio dei ministri.
Da cittadini, siamo tutti consapevoli di quanto abbiamo bisogno di semplificazione della legislazione e della burocrazia, eppure questa frase è praticamente identica con quella contenuta nell’“Appello ai liberi e ai forti” del 1919. Don Sturzo, allora come ora, chiedeva: “Vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione”.

Dal 1919 sono state tentate decine di riforme della Pubblica amministrazione. Dal fascismo e dal governo de Gasperi, che addirittura istituì nel 1950 il Ministero per la riforma burocratica. Poi decine di commissioni e progetti, fino al notissimo Rapporto Giannini del 1979. Il “Rapporto sui principali problemi della Amministrazione dello Stato”. Basta sfogliarlo. Elenca tutti problemi ancor oggi non risolti: sovrabbondanza di atti normativi. Eccessiva frammentazione di Enti. Problemi di efficienza e di efficacia. Mancanza di strumenti di misurazione e di controllo. Spesa pubblica non sorvegliata. Eccesso di costi inutili. Inefficienza delle sedi e delle attrezzature. Personale non qualificato e non aggiornato. Mancata definizione del ruolo delle Regioni (parlava del “torso” regionale, per indicare che era un disegno definito solo nel torso).

Una lettura ancor oggi impressionante. Problemi ancora aperti, affrontati malamente negli anni. Anche perché troppo spesso affrontati con la “pratica dei disegnini di legge per riparare ossicini fratturati o supposti tali” (per usare parole di Giannini).

Sappiamo bene che profonde riforme sono state pensate e presentate. Molte volte. Si dice che quando Cassese divenne Ministro fece fare un rapido inventario delle proposte di riforma della Amministrazione. E ne contò 62 dalla fine della Prima guerra mondiale al 1993. E dopo Cassese abbiamo avuto Bassanini, Brunetta, Patroni Griffi, la Bongiorno, tutti ministri che hanno provato a riformare.

Ma allora perché oggi possiamo pensare che sia davvero la volta buona per semplificare la burocrazia? IL Pnrr utilizza 53 volte la parola “semplificazione”, ma al fondo individua due binari di intervento che potranno davvero fare la differenza rispetto alle decine di riforma tentate e mai attuate. Innanzitutto, punta in maniera decisa sul personale. Noi abbiamo una pubblica amministrazione con una età media superiore ai 50 anni, spesso non adeguatamente formato e  aggiornato. Il Pnrr punta in maniera decisa non solo alla riqualificazione del personale, ma anche su nuove assunzioni massicce. Si parla di 500.000 giovani da inserire nei prossimi 5 anni in tutti i settori, in maniera da portare competenze, qualità, entusiasmo e una logica sempre più orientata ai risultati e non soltanto al formalismo in cui per decenni abbiamo ingabbiato le procedure.

Tutti ricordiamo il magistrale aforisma di Ennio Flaiano sul dirigente che affronta la riforma burocratica: “Gli presentano il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l’assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all’ufficio competente, che sta creando”.

Questa volta il diverso approccio al personale può fare da volano alla riforma assieme al digitale. Oggi la tecnologia ci offre strumenti prima impensabili di elaborazione, trasmissione e rapidità: in fondo la App “IO” potrà diventare quella specie di Amazon della Pubblica amministrazione che tutti speriamo. Cioè una app unica, rapida e efficiente, chiedere il passaporto, prenotare una visita specialistica, iscrivere i figli a scuola, ritirare il certificato elettorale o il Green pass vaccinale, senza dover scrivere a mille enti diversi e farci identificare con dati anagrafici, codice fiscale, partita iva, codice univoco, ecc. ecc.

Perché questa deve essere la volta buona?

Perché se non faremo così, non arriveranno i soldi europei che come sappiamo sono “a rate, in quanto vincolati all’effettivo sviluppo delle riforme base del paese.

E senza questi soldi non solo non potremo riprenderci dopo la pandemia, ma continueremo a vivere seppelliti di carte, carte bollate, timbri e protocolli, forse mandati via Pec (comunque in duplice copia) con firma digitale. Non possiamo più permettercelo!



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