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Donne e jihad. Il lato femminile del terrorismo in Africa

Il jihadismo femminile in Africa. Il ruolo delle donne all’interno di Boko Haram e al-Shabaab nel nuovo libro di Marco Cochi, pubblicato da START Insight

Il drammatico fenomeno del jihadismo femminile in Africa si caratterizza principalmente nei due principali gruppi estremisti attivi nel continente: al-Shabaab e Boko Haram. Il primo fedele ad al-Qaeda e attivo in Somalia e Kenya, mentre il secondo, operativo nella Nigeria nord-orientale e nel bacino del lago Ciad, ha giurato fedeltà allo Stato islamico nel marzo 2015.

Le due formazioni fondamentaliste hanno attratto al loro interno anche donne, che pur non esercitando ruoli di rilievo hanno deciso di donare le loro vite all’ideologia islamica salafita. Viene quindi lecito interrogarsi su quali siano le motivazioni e le aspirazioni che hanno spinto queste giovani e talvolta giovanissime ad abbracciare la “scelta estrema”.

Per rispondere alla complessa domanda ci viene in aiuto il nuovo volume scritto dal giornalista Marco Cochi pubblicato da START InSight e scaricabile gratuitamente (link). Nella sua disamina, Cochi, già autore di due saggi sull’evoluzione della minaccia del terrorismo islamista in Africa e analista per l’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo (ReaCT) e per il think tank di geopolitica trentino “Il Nodo di Gordio”, parte dal presupposto che per comprendere meglio i processi di radicalizzazione sia necessario fare il punto sul pregiudizio di genere tra le donne che abbracciano il jihadismo.

Per introdurre l’argomento, l’autore parte da lontano ricordando il ruolo chiave che nel XIX secolo alcune donne hanno avuto nelle organizzazioni estremiste violente. Tra tutte, la rivoluzionaria anarchica russa Vera Ivanovna Zasulich, la prima donna processata per terrorismo che, il 24 gennaio 1878, attentò alla vita del dispotico governatore di San Pietroburgo, il generale Fëdor Fëdorovic Trepov. Da allora, spiega l’autore, «la partecipazione delle donne al terrorismo può essere considerata una progressione naturale rispetto al loro coinvolgimento nelle lotte radicali e rivoluzionarie del passato».

Molte donne africane hanno aderito al terrorismo armato

Negli ultimi anni, evidenzia l’Autore, le donne africane hanno dimostrato una capacità di abbracciare l’estremismo armato non solo per ragioni indirette come la manipolazione, la sottomissione oppure la disinformazione, ma anche per ragioni corrispondenti a un reale desiderio di impegno armato o ancor più di indottrinamento religioso.

Nelle prime pagine del libro, Cochi analizza il ruolo di rilievo svolto dalle donne arruolate nei due gruppi nella propagazione e diffusione dell’ideologia e nel reclutamento di altre donne; e, ancora, il ruolo attivo per il supporto del gruppo nel contrabbando di armi, oppure come spia o staffetta, o ancora, l’importanza di mansioni solo apparentemente marginali come quelle di cuoca o lavandaia.

Mogli, madri e combattenti

Nel testo è anche ricordato come i leader dei gruppi estremisti africani abbiano spesso sottolineato nei loro comunicati l’importanza del ruolo delle donne come mogli e madri, determinanti per crescere i bambini secondo i dettami dell’islam fondamentalista. Un’altra delle chiavi di lettura del fenomeno è racchiusa nel fatto che spesso diventare estremiste può essere considerata una forma di emancipazione, che rende alle donne più facile staccarsi dalle famiglie d’origine, che in Africa sono in gran parte strutturate sull’autorità patriarcale.

La “vedova bianca”: da Londra al jihad

Il libro si sofferma infine sulla figura di alcune militanti di al-Shabaab, una tra tutte la convertita britannica Samantha Louise Lewthwaite, conosciuta anche come la “vedova bianca” per aver sposato Abdullah Shaheed Jamal, nome di guerra di Germaine Maurice Lindsay, uno dei quattro shahid di al-Qaeda che il 7 luglio 2005 seminarono morte e terrore a Londra. Dopo la scomparsa del marito, Samantha ha riempito le cronache dei giornali inglesi che la descrivono come la terrorista più ricercata del mondo, tanto da diventare una dei protagonisti di “World’s Most Wanted”, la docuserie andata in onda la scorsa estate su Netflix. Una vita “spericolata” segnata da quattro figli, tre mariti jihadisti e una lunga latitanza, che il libro ripercorre con dovizia di particolari.


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