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Altro che tecnico, Draghi è un premier politico-istituzionale

Mario Draghi è una risorsa di cui il Paese, vista anche la condizione, la qualità e il livello medio della classe politica non può certo fare a meno. Sarebbe nell’interesse sia dei cittadini sia delle stesse forze politiche creare le condizioni perché durasse in carica il più a lungo possibile e poi…

Per cogliere i veri aspetti della personalità istituzionale di Mario Draghi, vale la pena recuperare alcuni passaggi del suo recente discorso di presentazione del Recovery Plan alla Camera dei Deputati.

L’intervento del Presidente Draghi alla Camera dei deputati ha fatto emergere, ancor più per chi ancora non l’avesse colta, la sua grande statura politico-istituzionale e il suo profondo senso delle istituzioni e del servizio al Paese, come risulta da alcuni brevi cenni che vale la pena riportare di seguito. Premesso che nelle 300 pagine del Piano ci sono “le vite delle persone”, Draghi rileva che “nell’insieme dei programmi c’è il destino del Paese, la sua credibilità”.

Cita quindi nel passaggio più politico Alcide De Gasperi, secondo cui “l’opera di rinnovamento fallirà se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune”. Nelle conclusioni ha quindi sottolineato con fermezza: “Sono certo che riusciremo ad attuare questo Piano; sono certo che l’onesta, l’intelligenza, il gusto del futuro, prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti”, anche perché nel Piano “c’è la misura di quello che sarà il ruolo dell’Italia”.

La dura sanzione alla corruzione, alla stupidità, agli interessi costituiti è un forte messaggio “politico” da parte del presidente Draghi. Non a caso parlo di figura “politico-istituzionale” perché, come ho scritto e argomentato in un mio libro recente (Dalla Brutte Epoque al governo Draghi, Rubbettino), a differenza dei vari presidenti del Consiglio tecnici che l’hanno preceduto, a mio parere, come sin qui ben pochi hanno colto, nella personalità di Mario Draghi, oltre ovviamente ad una forte componente tecnico istituzionale c’è anche una componente “politica”, nel senso più elevato del termine, che deriva anche dalla particolarità del suo curriculum.

Come mi è capitato di osservare già in quegli anni, non si può essere un egregio direttore generale del Tesoro negli anni più significativi in cui si sono condotte le più rilevanti privatizzazioni senza saper interloquire nel modo più appropriato oltre che con imprenditori e banchieri anche con autorevoli esponenti politici. Non si può poi essere il miglior presidente della Bce confrontandosi alla pari con 19 capi di Stato e di governo della zona euro, intrecciando un rapporto privilegiato con la cancelliera Merkel per evitare i “rigurgiti” dei banchieri centrali tedeschi se non si detengono e non si sviluppano adeguate capacità politiche, e poi, diciamola tutta, non è che l’arte politica si impara solo nella vita di partito.

E preso possesso delle funzioni di premier italiano, dopo le prime settimane tese a rincorrere le emergenze dei contagi in salita e dei vaccini che non arrivavano, è potuto emergere il coraggio nelle decisioni, che è sempre stata una dote riconosciuta a Draghi come, tra le altre, la scelta di affidare la campagna delle vaccinazioni al generale più competente per la logistica dell’esercito, liberandosi dell’eredità che aveva lasciato il predecessore Conte cui poi è seguita la concentrazione forte sul Pnrr.

Se non ci fosse stato il forte coraggio, la determinazione e la capacità di guida politica del presidente Draghi, l’Italia non sarebbe riuscita a consegnare a Bruxelles un Pnrr equilibrato tra investimenti e soprattutto riforme entro il 30 aprile. Certo è che nel giro di poche settimane, a parte i chiari e netti miglioramenti e riequilibri per quanto riguarda le varie articolazioni e missioni del Piano, si sono messi in moto sempre sotto l’impulso e la sovrintendenza di Draghi, gruppi di lavoro che necessariamente hanno lavorato in accelerazione per varie tipologie di riforme che sono sì quelle richieste da Bruxelles, ma soprattutto sono quelle che servono al Paese, aggiungendo ad esempio anche quella della concorrenza con l’impegno sulla legge annuale della concorrenza, il cui abbandono era stato una delle vergogne della nostra classe politica.

Non dimentichiamo, perché in esso c’è tutta la personalità e il coraggio di Mario Draghi, quella famosa telefonata alla presidente della Commissione dell’Unione Europea Ursula Von Der Leyen, quando gli occhiuti funzionari di Bruxelles ponevano ostacoli appena prima che si riunisse il Consiglio dei ministri, in cui il premier italiano ha messo sul piatto tutta la sua fermezza e assunzione di responsabilità per l’approvazione del Pnrr bloccando così ogni tentativo di veto.

La sintesi di tutto questo è che Mario Draghi è una risorsa politico-istituzionale di cui il Paese, vista anche la condizione, la qualità e il livello medio della classe politica non può certo fare a meno. Sarebbe nell’interesse sia dei cittadini sia delle stesse forze politiche creare le condizioni perché questa figura di premier garante per il Paese, così come lo è stato con la Von Der Leyen rispetto all’Europa e a livello internazionale, durasse in carica il più a lungo possibile e, magari in un’altra collocazione istituzionale, potesse poi continuare ad essere un autorevole garante per il Paese.

Egli infatti, diversamente dagli odierni politici di partito, non a caso ama citare De Gasperi, colui che, in un discorso tenuto a Milano nel 1949 disse “politica vuol dire realizzare”.

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