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Riforma dell’export militare. La proposta (post-Brexit) di Mulé

Il sottosegretario alla Difesa durante un evento organizzato da Formiche: “Non più rinviabile una riflessione per aggiornare la Legge 185/90” per rafforzare le cooperazioni intergovernative e industriali tra Roma e Londra. L’ambasciatore britannico Morris: “L’Italia ricopre un ruolo del tutto speciale” per il Regno Unito

Dopo il divorzio da Bruxelles, Londra guarda avanti. L’Integrated Review presentata a marzo dal primo ministro Boris Johnson delinea le direttrici del posizionamento e dell’azione estera del Regno Unito, mentre il contesto globale si arricchisce di vecchie e nuove complessità, dal terrorismo internazionale alla cibersicurezza, passando per il cambiamento climatico, la pandemia e la minaccia della Cina.

Pur nel processo di ritagliarsi la propria dimensione in questa realtà multipolare, oltremanica non hanno dubbi su come posizionarsi: Londra vuole “restare un partner attivo e affidabile” per gli alleati, ha evidenziato l’ambasciatore britannico a Roma Jill Morris durante un webinar organizzato da Formiche. Il nuovo giro di investimenti in difesa, ricerca, sviluppo e tecnologia sono “l’asse portante” della risposta inglese alle minacce, ha spiegato, oltre che un modo per consolidare la propria posizione nel fronte delle democrazie impegnate sulla scena globale.

La linea di Londra ha trovato risonanze a Roma. “Le linee guida di politica estera, di difesa e di cooperazione del governo britannico mostrano la volontà di mantenere alto l’impegno inglese per la sicurezza in Europa”, ha commentato il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulé. Per poi rilanciare: ora occorre “ancorare a una visione strategica e di difesa degli interessi nazionali una politica industriale che sappia tenere testa, con competenza, know how, capacità e innovazione tecnologica all’aggressiva e spesso spietata concorrenza internazionale e, in particolare, cinese”.

L’industria della difesa ha sofferto la scossa di Brexit, ha detto Alessandro Marrone, responsabile del programma di Difesa dell’Istituto Affari Internazionali. La storica collaborazione tra Italia e Regno Unito ha prodotto pezzi da novanta come gli elicotteri pesanti EH 101, figli dell’italiana Agusta e l’inglese Westland, oggi confluite nel colosso italiano della difesa Leonardo. Da anni Leonardo e la controparte britannica BAE Systems lavorano sul caccia di sesta generazione, il Tempest, figlio di una collaborazione bilaterale che a sua volta ha creato consorzi industriali più ampi.

L’accordo raggiunto tra Unione europea e Regno Unito a fine 2020 non ha risolto i problemi del divorzio, ha continuato Marrone. Per esempio, la normativa italiana “rigida e antiquata” sull’export fa sì che il Regno Unito sia trattato alla stregua di un qualsiasi Stato terzo, a dispetto dei fortissimi legami tra i Paesi. Perciò occorre una “riflessione, non più rinviabile, per aggiornare la legge 185/90”, ha detto il sottosegretario Mulé, cosicché l’Italia possa scambiare equipaggiamento da difesa non solo con il Regno Unito, “partner fondamentale”, ma anche con altri Paesi like-minded.

Non si tratta solo di interessi commerciali, ma di una scelta strategica di lungo respiro. Per Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio romano dell’European Council on Foreign Relations, la sfida tecnologica che si staglia innanzi all’Occidente geopolitico è di tale portata che “affrontarla disgiuntamente sarebbe una follia”. Il multilateralismo e la sovranità strategica europea non deve essere in antitesi con il mondo anglosassone, ha sottolineato Varvelli, e questa fase può preludere a un rafforzamento del patto tra le democrazie occidentali.

Peraltro, ha puntualizzato Marrone, la difesa europea contempla e anzi favorisce l’apporto degli alleati. Pochi giorni fa Stati Uniti, Canada e Norvegia hanno ricevuto il via libera per entrare nel progetto di mobilità Pesco (la struttura di cooperazione militare permanente dell’Ue) pensato per trasportare rapidamente truppe e equipaggiamento sul fianco Est dell’Europa. In più la strategia decennale Nato è in fase di scrittura e l’asse italo-britannico, informato dalle sensibilità simili, può essere decisivo.

Per Mulé serve sfruttare la contemporaneità delle presidenze di G7 e G20, in mano a Londra e Roma rispettivamente (che assieme organizzano anche la Cop26), per far valere il peso combinato delle due potenze negli ambiti multilaterali. Se si approfondisce la cooperazione, ha detto, l’impatto della Brexit sarà limitato; del resto, “i valori sono gli stessi, le sfide da affrontare comuni, le minacce da arginare condivise”.

Parole che trovano sponda a Londra: “Insieme all’Italia, che ha assunto la presidenza del G20, e in virtù della nostra partnership nella Cop26, siamo in una posizione impareggiabile per aiutare a guidare la comunità internazionale per build back better”, ha spiegato l’ambasciatore Morris, che è a Roma ormai da cinque anni e oggi spiega che l’Italia, nell’ottica dell’’Integrated Review “ricopre un ruolo del tutto speciale”. “Le agende ambiziose e allineate di entrambe le nostre Presidenze mirano a lasciare un’eredità duratura in questo momento importante. L’economia, la salute, l’ambiente e il clima sono per entrambi i Paesi gli obiettivi principali”, ha concluso.

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