Solo assumendo la sanità come stella polare della relazione Africa-Europa si possono rendere stabili e forse irreversibili gli obiettivi di salute globale che i leader mondiali hanno solennemente condiviso a Roma
Il presidente del Consiglio Mario Draghi, forte della sua familiarità con i G20 e gli altri vertici internazionali del più alto livello, ha guidato in modo particolarmente autorevole e incisivo il Global Health Summit.
Dal vertice di Villa Pamphilj i principali leader politici del mondo sono stati chiamati a dare risposte concrete e immediate alla drammatica pandemia che da oltre un anno ha devastato tutto il nostro pianeta e provocato almeno 3 milioni e mezzo di morti.
Con il Global Health Summit e la conseguente Dichiarazione di Roma la presidenza Italiana del G20 – in cooperazione con la Commissione Europea – ha tracciato una solida strategia multilaterale per fronteggiare l’emergenza pandemica e al tempo stesso gettare le basi di una autentica politica sanitaria globale.
Finalmente le ragioni e gli obiettivi della salute globale hanno prevalso sui gravi ritardi nella fase iniziale, sulle censure della gravità pandemica, sugli errori, sulle imperizia e sui tanti interessi di bottega.
Nel Global Health Summit si è registrato un clima molto diverso. Non si possono dimenticare le omissioni, gli egoismi nazionali, le campagne di propaganda e disinformazione e le inevitabili dispute geopolitiche (più o meno legittime).
Non capita tutti i giorni ascoltare (con l’accorta regia della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente Draghi) un dialogo pacato e costruttivo tra paesi e personalità così diverse e importanti.
Il summit ha visto intervenire in modo non formale (partendo da un confidenziale saluto “Dear Mario”, “Dear Ursula”) leader politici di alto e altissimo livello.
Possiamo citare la partecipazione molto sentita dell’empatica vice di Joe Biden, Kamala Harris, quella di una figura carismatica e di grande peso politico come il presidente della Cina Xi Jiping, quella del primo ministro giapponese Yoshihide Suga, nonché quelle della. cancelliera tedesca Angela Merkel, del presidente spagnolo Pedro Sanchez, del francese Emmanuel Macron, del turco Recep Tayyip Erdogan e degli omologhi di Sud Africa, Canada, Indonesia, Messico, Repubblica Democratica del Congo, Corea del Sud, Arabia Saudita, solo per elencarne alcuni.
Il vertice, per usare le parole della presidente von der Leyen, rappresenta un milestone, un primo step davvero solido e importante nella direzione giusta. E sembra quasi un’eccezione alla regola in un mondo in cui prolificano i veleni, i molteplici contenziosi e le rivalità politiche ed economiche mai sopite anche di fronte alle tragedie umanitarie.
Nonostante queste tensioni, l’impressione è che si è finalmente voltato pagina, aprendo una finestra di opportunità per una sincera collaborazione internazionale quanto meno in campo sanitario, scientifico ed economico.
Grande merito va alla libertà della scienza, della ricerca e della sperimentazione. La possibilità di migliaia di ricercatori di esprimere i loro talenti (insieme a imprenditori e poteri pubblici lungimiranti) ha dato frutti importanti. Quanti avrebbe scommesso sulla capacità di realizzare diversi vaccini efficaci in un un meno di un anno?
Dopo mesi e mesi di polemiche velenose e pretestuose era l’ora che la cosiddetta “diplomazia dei vaccini” fosse archiviata. Ieri da segnalare una sola eccezione: un eco residuo (peraltro isolato e in tono minore) si è fatto sentire nelle parole pronunciate al summit dalla vicepremier russa Tatjana Golikova.
Quando si parla di salute globale, della vita delle persone del diritto alla salute, della copertura universale è imperativo che le ragioni della cooperazione prevalgono sulla concorrenza tra Stati, sulle competizioni geopolitiche e sui conflitti cronici, più o meno latenti.
Come ben ha sottolineato Kristalina Georgieva, numero uno del Fondo monetario internazionale, crisi pandemica e crisi economica sono due facce della stessa medaglia e richiedono una risposta unitaria e combinata capace di coniugare vaccinazioni e stimoli finanziari all’economia.
All’inizio del summit, l’ex presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf – per altro insieme Helen Clark, ex primo ministro della Nuova Zelanda, copresidente della grande inchiesta sulla pandemia – non ha usato giri di parole per descrivere il dramma che il mondo sta vivendo. Più dell’80% delle persone vaccinate sinora appartengono ai Paesi più ricchi del mondo: una vera bomba a orologeria. Per prevenire una catastrofe umanitaria da qui al 1° settembre 2021, secondo l’ex presidente liberiano, servono un miliardo di nuove dosi per vaccinare i cittadini che vivono nelle nazioni più povere del mondo.
La prima priorità dei Governi del G20 è distribuire ai Paesi che ne hanno assoluta urgenza una quantità consistente delle proprie riserve. Non è questione di generosità, ma di sopravvivenza: senza vaccinarsi tutti, poveri e ricchi, nessuno si salva dalla pandemia.
Secondo l’ex presidente della Liberia (nonostante la straordinaria velocità della risposta tecnico- scientifica) oggi i livelli di produzione industriale non sono sufficienti a coprire il drammatico fabbisogno dei Paesi poveri.
E qualora nei Paesi a reddito basso (e medio basso) nelle prossime settimane il trasferimento tecnologico e le relative licenze di produzione non venissero liberalizzate su basi volontarie per l’ex presidente della Liberia non ci sono dubbi: le regole sulla proprietà intellettuale devono essere immediatamente sospese in modo vincolante e obbligatorio (come del previsto, ma sempre dimenticato o comunque mai attuato) dagli stessi accordi TRIPS siglati a Doha nel 2001.
Questa è, tuttavia, condizione necessaria ma non sufficiente. Fare vaccini è tecnicamente complicato (e assai costoso) anche se hai il permesso di farli. Proprio per sbloccare questo stallo (che è solo materia di proprietà intellettuale) nei loro interventi Ursula von der Leyen e David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, si sono impegnati a intraprendere un’iniziativa immediata dell’Unione europea nei confronti dell’Organizzazione mondiale del commercio seguendo gli spunti suggeriti da Sud Africa e India.
In questa cornice si inserisce l’obiettivo – importantissimo – che l’Unione europea favorisca la costruzione di laboratori tecnologici e insediamenti industriali per la produzione di vaccini e altri prodotti sanitari nel continente africano.
Altre buone notizie al Global Health Summit sono venute da tre grandi produttori di vaccini la cui efficacia è validata: Pfizer/Biontech, Moderna e Johnson&Johnson.
Sul piano quantitativo circa tre miliardi di dosi saranno in arrivo tra il secondo semestre 2021 e il 2022. E per quanto riguarda i prezzi dei vaccini, ai Paesi poveri saranno forniti a prezzo di costo e con sconti del 50% ai Paesi intermedi.
La giornata è stata caratterizzata dall’appassionato e solenne impegno (e ce n’era bisogno) degli Stati Uniti verso il resto del mondo trasmesso con appassionate parole dal vicepresidente Harris per una consiste azione di sharing sia di vaccini sia di sostegni finanziari per le aree più povere del mondo.
In nome dell’impegno multilaterale nel campo sanitario tanto resta da fare: nuovi trattati internazionali per efficaci politiche di prevenzione delle pandemie e delle patologie sanitarie; equilibrato e urgente cambio di regole per la proprietà intellettuale da negoziare in sede Wto; riforma profonda dell’Oms perché non si ripetano i limiti emersi drammaticamente con il Covid-19; affermazione del diritto universale alla salute sulla base di un vero accesso di tutti i cittadini sulla base di sistemi sanitari resilienti in ogni Paese.
Su questo ultimo aspetto si è soffermato il presidente della Repubblica democratica del Congo (e attualmente anche dell’Unione africana).
Qui l’Unione europea (Italia compresa) ha una responsabilità davvero speciale, anzi un dovere a cui rispondere con azioni immediate. L’Europa non da oggi è la culla dei welfare State e ha i mezzi per farlo al meglio come nessun altro.
È fondamentale che i Paesi africani siano finalmente dotati di sistemi sanitari nazionali degni di questo nome. Ed è vergognoso che i leader politici continuino a venire a curarsi negli ospedali delle capitali europee perché sono le uniche cliniche di cui si fidano.
La collaborazione orizzontale tra istituzioni sanitarie europee e africane ha potenzialità straordinarie: è su questo e non sui mille rivoli finanziari in cui oggi si disperde che deve concentrarsi la politica di cooperazione tra Europa e Africa.
Non è solo nell’interesse reciproco. Assumendo la sanità come stella polare della relazione Africa-Europa si possono rendere stabili e forse irreversibili gli obiettivi di salute globale che i leader mondiali dei G20 hanno solennemente condiviso a Roma.
E infine, come ha ricordato il presidente Draghi nella conferenza stampa conclusiva, l’attuazione dei criteri contenuti nella dichiarazione di Roma del G20 non spetta solo all’Europa guidata da Ursula von der Leyen. Nelle prossime settimane si terranno due scadenze di grande rilevanza, veri e propri test delle capacità di attuare l’agenda: l’Assemblea generale dell’Oms e il vertice del G7.
Non resta che augurarsi che gli impegni assunti ieri a Villa Pamphilj siano portati a termine in modo coerente e rispettando le scadenze ravvicinate: solo così si può vincere la guerra alla pandemia.