Intervista a Nathan Law, leader del movimento democratico di Hong Kong all’estero. Per Joshua Wong calvario senza fine, arriverà un’altra condanna. Sanzioni e stop all’accordo Ue-Cina, così si ferma Pechino. Papa Francesco? Silenzio incomprensibile, deve aiutarci e sospendere quell’intesa
“Colpiteli al portafoglio”. Nathan Law, 28 anni, risponde al telefono da Londra. “La comunità internazionale può, deve fare qualcosa”. Joshua Wong, suo amico e compagno di mille battaglie nel movimento democratico di Hong Kong, ha appena ricevuto la sua terza condanna da parte del regime cinese. Dieci mesi di carcere, che si aggiungono ad altre due condanne a quattro e tredici mesi. L’accusa: aver partecipato a una manifestazione pacifica in ricordo del massacro di Tienanmen il 4 giugno del 2020. Law, ora il volto più riconoscibile della causa all’estero, ricercato dalle autorità cinesi, era con lui.
Cosa è successo?
Quel che succede da trent’anni. Migliaia di cittadini di Hong Kong si sono riuniti a Victoria Park per la fiaccolata notturna in ricordo dei fatti di Tienanmen. Per la prima volta ci hanno intimato di non prendere parte alla manifestazione. Siamo andati lo stesso, questo è il prezzo. Una sentenza sproporzionata, impensabile in Europa, che la dice lunga sulla corruzione della giustizia a Hong Kong e la soppressione dei diritti civili.
Le autorità parlano di violazioni delle misure anti Covid-19. Una scusa?
Certo. Avevamo pianificato tutto fin nei minimi dettagli, rispettando alla lettera il protocollo di pubblica sicurezza. Il governo ci ha messi al bando senza neanche ascoltarci. Sa che questa ricorrenza lunga tre decenni è estremamente politica, una condanna del Partito comunista cinese.
È solo l’inizio?
Difficile anticipare le prossime mosse, la situazione peggiora ogni giorno. Un altro processo, ad esempio, attende Joshua per aver partecipato alle elezioni primarie. Con la nuova legge sulla Sicurezza nazionale rischia un anno.
È riuscito a sentire qualcuno dei compagni arrestati?
Non ci ho mai provato, li metterei in pericolo. Sarebbero accusati di collusione con me e aggraverei le loro condizioni. E comunque non hanno il permesso di parlare con nessuno.
Cosa può fare la comunità internazionale?
Mettere pressione. Sanzionare gli ufficiali del partito a Hong Kong. Introdurre clausole sui diritti umani negli investimenti, negli accordi commerciali e fiscali. L’Ue dovrebbe congelare l’accordo sugli investimenti con il governo cinese, come richiesto chiaramente dal Parlamento europeo. Ogni volta che c’è una grave violazione dei diritti umani, i Paesi democratici dovrebbero bloccare gli affari con la Cina con un meccanismo coordinato.
Biden sta mantenendo le sue promesse?
Rispetto a Trump, sta impostando la gestione dei rapporti con la Cina su un piano multilaterale. È la giusta cosa da fare: cercare l’unità della comunità internazionale contro Stati autoritari come la Cina. Ma si può fare ancora molto di più.
Dal Vaticano vi aspettate una parola in più?
Il Vaticano e il papa sono rimasti in silenzio troppo a lungo di fronte alle violazioni dei diritti umani in Cina. Mentre cercano un accordo con il Partito comunista cinese, questo continua a sopprimere la libertà religiosa in Cina. Non è una strategia saggia, né un bel segnale per chi soffre o è costretto all’esilio.
Certo non è facile. Quando il papa ha parlato in difesa degli uiguri è stato duramente attaccato dal governo cinese. Non rischia di peggiorare le cose?
Lo so, non è facile ma è necessario. Il Vaticano non deve abbandonare chi soffre. Deve abbandonare, semmai, l’intesa fra Cina e Santa Sede. Pensare che un accordo con il Pcc protegga la libertà religiosa è una bella illusione. Non funziona così da quelle parti.