Skip to main content

Soft(ware) power. La sfida di Huawei a Biden

Una lettera interna all’azienda del fondatore di Huawei svelata da Reuters lancia la sfida agli Usa di Biden. In ginocchio per le sanzioni americane sui microchip, il colosso tech accusato di spionaggio prova a risalire la china cambiando strategia

Messa in ginocchio, ma non al tappeto. Huawei, colosso cinese della telefonia mobile, è pronta a rilanciare la sfida cinese agli Stati Uniti per il dominio della rete 5G. Un memo riservato interno all’azienda firmato dal fondatore Ren Zhengfei, ex ufficiale dell’Esercito di liberazione popolare cinese, invita i dipendenti ad “osare a  guidare il mondo”, svela Reuters. Il documento fotografa le difficoltà per l’azienda sul mercato delle telecomunicazioni da quando gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni secondarie con chiunque vi faccia affari, accusandola, insieme a Zte, di spionaggio per conto del Partito comunista cinese (Pcc).

Nel 2019 l’ex presidente americano Donald Trump  ha inserito Huawei in una “black-list” per l’export e in seguito ha disposto un bando dall’acquisto di qualsiasi tecnologia americana, prevedendo sanzioni per le aziende straniere che decidono di vendere alla competitor cinese. “Una volta che dominiamo l’Europa, la regione dell’Asia-Pacifico e l’Africa, se gli standard americani non combaciano con i nostri, e non possiamo entrare negli Stati Uniti, allora gli Stati Uniti non potranno più entrare nel nostro territorio”, scrive Zhengfei nella missiva.

Non è la prima volta che il capo del gigante hi-tech cinese firma una lettera per i dipendenti. L’ultima era stata inviata ad aprile per fare il punto sulla situazione finanziaria. Un quadro tutt’altro che roseo: le sanzioni americane e la sospensione delle forniture da parte degli alleati Nato ha contratto del 16,5% il fatturato di Huawei nel primo trimestre del 2021. Peraltro dopo un 2020 già in picchiata, segnato dalla più lenta crescita di fatturato del decennio e dalla chiusura della divisione Cloud e Intelligenza artificiale a soli 14 mesi dalla sua inaugurazione.

Ora un nuovo allarme: se vuole restare in vetta al mercato, Huawei deve investire di più sullo sviluppo della parte software e meno sull’hardware, il fronte più duramente colpito dalle misure americane. È l’unico modo, avvisa il fondatore, per porsi “al di fuori del controllo statunitense” e “avere una maggiore indipendenza e autonomia”.

La virata di Huawei è imposta dalla guerra in corso fra Cina e Stati Uniti nel settore dei semiconduttori. La pandemia del Covid-19 ha innescato una vera e propria corsa globale per accaparrarsi i fornitori dei “microchip” che fanno funzionare interi comparti produttivi, dall’automotive ai computer. Ma la decisione di investire sulla produzione di software, e in particolare dei suoi progetti di punta, come il sistema operativo HarmonyOS o il sistema cloud AI Mindspore, ha radici più profonde.

Risalgono a una nuova legge introdotta dagli Stati Uniti nel maggio del 2020 che impedisce a tutte le aziende che fanno uso, anche solo parziale, di tecnologia americana, la vendita di microchip ad aziende cinesi.

La mannaia della Casa Bianca targata Trump si è abbattuta su alcuni dei più onerosi contratti di fornitura di Huawei, come quello con il leader mondiale dei microchip, la taiwanese Tsmc, causando un drastico calo della vendita di smartphone. Una caduta libera accelerata dalla decisione di Google, su pressione del governo americano, di non fornire più ai dispositivi Huawei il sistema operativo Android.



×

Iscriviti alla newsletter