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In memoria del console Antonio Verde, servitore dello Stato caduto sul lavoro

Stupisce il fatto che la morte del console italiano al Cairo non sia stata ripresa da quasi nessuno dei principali media italiani. E ancora di più il fatto che, mentre si vaccinavano assistenti universitari ventenni e avvocati trentenni, le autorità sanitarie non abbiano considerato personale a rischio i diplomatici in servizio all’estero. Il corsivo di Igor Pellicciari, Università di Urbino e Luiss

Ha rattristato la notizia dell’improvvisa scomparsa per Covid di Antonio Verde, console italiano a Il Cairo, vice-capo missione all’ambasciata italiana in Egitto; molto stimato umanamente e professionalmente da chi ha avuto il privilegio di conoscerlo nei suoi 30 anni di carriera diplomatica tra Tokyo, Mosca e Strasburgo, Sydney e Los Angeles.

Superata l’incredulità del momento, il dolore lascia tuttavia spazio ad alcune riflessioni spontanee, avanzate non per spirito polemico ma per onorare come merita la memoria di un valido diplomatico della Repubblica, prematuramente scomparso.

Inspiegabile, ad alcuni giorni del lutto, che la notizia non sia stata ripresa quasi da nessuno dei principali media italiani.

E’ circostanza che sorprende, anche perché di certo non riconducibile ad un disegno di cui si faticherebbe ad intuire un qualunque senso – ma che comunque denota una serie di pesanti incongruenze nella retorica nostrana che accompagna certi argomenti.

La prima riguarda le morti sul lavoro, vera piaga italiana, cui Sergio Mattrella ha fatto riferimento nel suo recente discorso per il 1° maggio, considerandole senza mezzi termini come non tollerabili.

Fa strano che la notizia della tragica scomparsa del console italiano non sia stata subito accomunata al triste conteggio di chi ha perso la vita svolgendo la propria professione.

Come se fossero vittime eleggibili solo quante cadono svolgendo un lavoro su un cantiere o in una catena di montaggio in fabbrica.

E’ ovvio che non è questo il ragionamento sottostante. Ma il solo fatto di poterlo formulare sulla base di un paradosso, la dice tutta sulla ipocrisia di certi necrologi nel paese dei proclami ispirati al “mai più”.

La seconda incongruenza è l’assenza oggi di quasi tutti quei messaggi di cordoglio registrati in occasione della recente uccisione in Congo dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci.

Come nel caso dell’ambasciatore e del carabiniere, anche il console è caduto svolgendo il suo lavoro di servitore dello Stato e come tale si dovrebbe raccontarne e piangerne la scomparsa, senza inutili retoriche – ma con il giusto e doveroso riconoscimento che il suo sacrificio merita.

La questione finale riguarda quello che il Presidente della Repubblica ha chiamato nel sopra citato discorso “diritto alla sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Ancora più inspiegabile, nel paese delle mille e una corporazioni ma anche della retorica anti-casta urlata dagli stessi che saltano la fila per immunizzarsi, scoprire che secondo le nostre autorità sanitarie i diplomatici (persino quelli in missione!) non siano stati considerati categoria professionalmente esposta da vaccinare in via prioritaria contro il Covid. Come invece fatto da numerosi altri paesi europei.

La sorpresa lascia allora spazio all’amarezza per una morte sul lavoro che poteva essere evitata.

Riposa in pace, Antonio.

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