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Dall’inflazione Usa un segnale da non sottovalutare. Parla Messori

L’economista e già direttore della Luiss School of European Political Economy: quella negli Stati Uniti potrebbe essere una fiammata o forse il preludio di una svolta monetaria da parte della Fed. In ogni caso meglio dosare i piani pandemici a stelle e strisce per non surriscaldare l’economia con conseguenze nefaste per la crescita

Janet Yellen, segretario al Tesoro americano, non può certo sorridere. Ci sono serie possibilità che quanto da lei stessa detto a mezza bocca tre settimane fa, si stia avverando. Suo malgrado. Succede che l’inflazione americana corre più delle attese al punto da crescere nel solo mese di aprile del 4,2% contro il balzo del 3,6% atteso dagli analisti e ben il 2% in più rispetto solo allo scorso marzo. Si tratta dell’incremento dei prezzi al consumo più marcato dal 2008, l’anno di Lehman Brothers. Ce ne è abbastanza per spingere i mercati sull’orlo di una crisi di nervi, le cui avvisaglie a dire il vero e vista la reazione delle Borse non appena diffuso il dato, si sono già manifestate (il solo Nasdaq è crollato del 2,7%).

D’altronde l’inflazione è il grande spauracchio di mercati e banche centrali di questi ultimi tempi. I piani pandemici messi a punto dall’amministrazione Biden, ma in generale dai governi di mezzo mondo, hanno gonfiato l’economia e le banche di moneta. L’enorme liquidità accumulata non può non spingere i consumatori alla spesa, aumentando la domanda e innescando la corsa dei prezzi e dunque dell’inflazione. L’unico modo per evitare un surriscaldamento dell’economia americana è un taglio dei tassi da parte della Fed. Ed è proprio questo che i mercati temono: se salgono i tassi il denaro costa di più e rallenta il flusso di liquidità nell’economia. E il Pil ne risente. Come se ne esce? E soprattutto c’era da aspettarsi un simile rialzo? Formiche.net lo ha chiesto a Marcello Messori, economista della Luiss e già direttore della Luiss School of European Political Economy.

“Era ragionevole aspettarsi un aumento del tasso di inflazione negli Stati Uniti, anche se non di questa intensità”, spiega Messori. “Il punto cruciale da discutere è se si tratti di una fiammata temporanea oppure di un fenomeno di medio periodo, in quanto una crescita persistente del tasso di inflazione spingerebbe la Fed a rivedere la propria politica monetaria espansiva e avrebbe un forte impatto sulla crescita reale”.

L’economia americana è dunque dinnanzi a una svolta monetaria? Le probabilità sono alte. “Fino a ieri, negli Stati Uniti, i tassi di interesse di lungo termine tendevano a diminuire e, dunque, indicavano aspettative di bassa inflazione futura da parte della maggioranza degli investitori. Oggi, invece, vi è stata una caduta anche dei prezzi dei titoli a reddito fisso che, se confermata nei prossimi giorni, modificherebbe lo scenario e potrebbe indurre una discontinuità macroeconomica più rilevante. Pertanto, per meno che si possa dire, vi è maggiore incertezza circa le prospettive economiche statunitensi”, mette in chiaro l’economista e docente.

Appurato che una stretta sui tassi è più vicina dopo il risveglio dell’inflazione, resta da capire il ruolo dei piani pandemici messi in piedi dal governo americano. “La politica fiscale dell’amministrazione Biden avrà impatti diversi a seconda dello scenario inflazionistico che si imporrà negli Stati Uniti: se si tratta solo di una fiammata inflazionistica e se, come credo, si supereranno presto i vincoli produttivi legati a carenze di semilavorati, allora il programma fiscale (poco meno di 2 trilioni di dollari) già varato, di sostegno ai redditi e alla parte più debole delle attività, produrrà gli effetti espansivi auspicati. In questa situazione positiva, il nuovo programma (di più di 3 trilioni) dovrà essere ben scadenzato nel tempo. Altrimenti, il lancio di massicce costruzioni infrastrutturali e di investimenti pubblici e privati rischia di surriscaldare un’economia già troppo sotto pressione”.

Ma c’è il rovescio della medaglia. “Se viceversa le attuali tensioni inflazionistiche si imporranno nel medio termine, la crescita macroeconomica statunitense potrà continuare solo se la politica fiscale sarà in grado di sostituirsi, senza troppe scosse, a una politica monetaria non più espansiva; ma, in questo caso, trovare un efficace equilibrio tra stimoli alla domanda e all’offerta sarà davvero una sfida improba. Inutile aggiungere che questi diversi scenari avranno conseguenze rilevanti anche per l’economia europea, ma questo sarà un tema da affrontare in un’altra occasione”.



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