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Pnrr e turismo. Per lo sviluppo la chiave è una governance integrata

Riuscire a integrare l’organizzazione delle misure strutturali proposte insieme alla digitalizzazione dei processi e a un pressante coordinamento dei soggetti coinvolti potrebbe far compiere al settore turistico quel passo decisivo verso una crescita che si autoalimenti nel tempo. Non è una sfida impossibile. L’analisi di Salvatore Zecchini

Nell’ultimo decreto Ristori si assiste all’ennesima pioggia di aiuti, di cui parte rappresentano una compensazione sempre più selettiva e parziale delle perdite subite da imprese e lavoratori per effetto delle restrizioni sanitarie, e parte una prima attuazione di alcune misure comprese nel Pnrr.

Il settore turistico risponde appieno a questa caratterizzazione: decontribuzione previdenziale per le imprese del settore, aiuti su canoni di affitto, bollette elettriche e Tari, e un’indennità ai lavoratori stagionali in difficoltà, da un lato, creazione di un Fondo da 100 milioni per sostenere le imprese dei comprensori sciistici, un altro di 50 milioni per i comuni con siti riconosciuti da Unesco, ed aumento delle garanzie sui prestiti per gli investimenti delle Pmi del settore, dall’altro lato.

Di queste e delle altre misure del Pnrr il settore ha grande bisogno, particolarmente all’approssimarsi della stagione estiva, perché i suoi operatori versano in una situazione molto precaria. Hanno subito dal marzo del 2020 un crollo della domanda, vuoi per le restrizioni sanitarie, vuoi per la riduzione dei budget dedicati a questa categoria di spese dai potenziali clienti. Le presenze di questi ultimi sono diminuite del 53%, con cali ancora maggiori nel comparto alberghiero (57%) e tra la clientela straniera (70%). Situazione analoga si riscontra nell’affluenza a manifestazioni ed eventi culturali (-77,6% nella spesa), a eventi sportivi (-84%) e al comparto delle mostre ed esposizioni. Perdite altrettanto consistenti nei comparti collegati al turismo, come i musei e i parchi archeologici, la ristorazione e le strutture vacanziere.

Questo shock ha colpito particolarmente un settore che è rilevante per il contributo alla formazione del Pil nazionale (6% secondo l’Istat, escludendo l’indotto e il collegato) e all’occupazione (oltre 4 milioni di lavoratori), nonché per i margini di sviluppo non ancora sfruttati, se si fa il confronto con quanto realizzato in Spagna e Francia, che sono i maggiori concorrenti dell’Italia. Allo shock si sono aggiunti cambiamenti importanti nei comportamenti dei fruitori dei servizi con la riduzione degli spostamenti attraverso il più intenso ricorso ai nuovi mezzi di comunicazione digitale, la preferenza crescente per località meno tradizionali, la propensione a scegliere mete meno lontane, e la disintermediazione degli agenti per i servizi di trasporto, alloggio e ristorazione.

Gli operatori sono, quindi, costretti ad affrontare due ordini di criticità allo stesso tempo, ovvero il recupero delle perdite accusate negli scorsi cinque trimestri ed il rinnovamento dei modelli di business e delle strutture per servire una clientela in rapida evoluzione nelle preferenze e nei budget. Sullo sfondo continuano a pesare le criticità di lunga data rappresentate dalla parcellizzazione dell’offerta di servizi insieme alle incertezze sulla loro qualità, la concentrazione territoriale delle presenze, con il 58% assorbito da cinque regioni, la congestione di alcune aree, l’elevata stagionalità dovuta al prevalere del turismo balneare e verso le grandi città d’arte, la carenza di strutture ed infrastrutture, specialmente nel Mezzogiorno, l’inadeguatezza delle competenze professionali, i ritardi nella digitalizzazione e il ristretto spettro geografico di provenienza dei visitatori stranieri (47% dalla Germania). A favore degli operatori giocano, invece, l’attrattività dei luoghi turistici e del patrimonio culturale, e l’esistenza di una consistente domanda che è stata repressa dalle restrizioni, ma che è pronta a ravvivarsi, seppure in modi e con capacità di spesa differenti dal passato.

Con il Pnrr il governo mira a intervenire sui principali nodi, programmando una lunga serie di misure ed impegnando per il prossimo quinquennio risorse per 8,13 miliardi, comprendenti anche quelle destinate al settore cultura (4,3 miliardi) e quelle coperte dal Fondo Complementare (1,5 miliardi). Il turismo dovrebbe pure avvantaggiarsi degli interventi previsti in altri campi che condizionano le possibilità sviluppo delle attività del settore. Ad esempio, il potenziamento dei trasporti pubblici ne rendono possibile una migliore fruizione, al pari degli incentivi agli investimenti fissi, gli aiuti alla digitalizzazione delle Pmi, lo sviluppo sostenibile dell’economia rurale, gli investimenti per ridurre il rischio idro-geologico del territorio, i servizi per i parchi e riserve marine, il sostegno alle filiere per i prodotti tipici regionali, alle strutture ed eventi sportivi. Evidentemente il settore è immerso in una fitta rete di interconnessioni che si pongono o come occasioni per espandere l’attività, o come vincoli che la ostacolano.

Le misure si concentrano principalmente sul potenziamento dell’offerta e sulle condizioni fisiche di contesto, destinando loro la maggioranza delle risorse e contando sulle ricadute positive che ne discendono per altri settori come quelli edilizio, ecologico, ambientale, della connettività digitale, delle vie di comunicazione e dell’innovazione tecnologica. Questa molteplicità di riflessi di un programma diretto al turismo è spinta al massimo, fino a includervi la rigenerazione delle periferie urbane che poco ha a che fare con il turismo e la cultura. Nella “missione” Turismo del Pnrr si inseriscono, infatti, la rigenerazione dei siti e del patrimonio culturale, architettonico e dei borghi, per cui è previsto un apposito piano nazionale, la valorizzazione di siti storici e del paesaggio rurale, la transizione “verde” e l’investimento in immobili di prestigio per la ripresa delle catene alberghiere. Un ruolo importante è assegnato all’impiego di strumenti digitali mediante la diffusione della copertura 5G, la digitalizzazione del patrimonio artistico e digitale, e la formazione delle competenze, ricorrendo tra l’altro alla realizzazione di un kit di aiuto ai piccoli operatori. Sono, invece, molto sfumati i dettagli delle azioni per superare la frammentarietà dell’offerta ed innalzare gli standard di qualità delle strutture ricettive.

Dal lato della domanda, il maggior impatto dovrebbe derivare dalla riorganizzazione e centralizzazione delle fonti di informazione sul settore attraverso la costituzione di un hub digitale del turismo, il potenziamento del portale Italia.it e la creazione di un serbatoio di dati (data lake) che serva anche a strumenti di intelligenza artificiale per analizzare le caratteristiche e gli andamenti della domanda. Sarebbe opportuno che a questo progetto si colleghi quello per la digitalizzazione del patrimonio artistico e culturale con l’obiettivo di agevolare l’accesso a un’informazione più completa dell’attuale che faccia da supporto alle scelte del fruitore dei servizi. Risorse per 500 milioni sono destinate alla preparazione per grandi eventi ed alla promozione di itinerari alternativi a quelli su cui si concentrano maggiormente le scelte dei turisti.

Nel lungo elenco di interventi nonché negli strumenti da utilizzare non vi sono grandi novità, perché si ripropone quanto si è visto nei piani di diversi governi precedenti, che peraltro hanno ottenuto risultati al di sotto delle aspettative. Malgrado gli investimenti degli ultimi due decenni, il Paese ha perduto terreno rispetto ai maggiori concorrenti europei sia in termini di presenze, che di ricavi. Quindi, vi è da chiedersi quali fattori in particolare faranno questa volta la differenza in meglio rispetto al passato: l’ammontare delle risorse impegnate, la maggior estensione dell’azione su settori funzionalmente collegati, una migliore gestione del programma, la rapidità d’attuazione, o lo stretto monitoraggio delle misure?

Indubbiamente le risorse sono più consistenti di quelle del passato e concentrate nel tempo, ma quel che più conta è la loro destinazione e come si assicura l’efficacia della spesa. Su quest’ultimo punto si accentrano le debolezze del piano. Come si riconosce implicitamente nel ricorso a una grande varietà di misure, promuovere efficacemente il turismo richiede riportare a sistema un insieme di interventi distinti su diversi fronti, perché è dalla loro sinergia che dipende il successo del piano in termini di sviluppo dell’economia del turismo e valorizzazione del patrimonio nazionale. L’organizzazione in un unico sistema postula una governance integrata ed accentrata, un problema che non viene affrontato, ma appena sfiorato nel Pnrr, limitandosi a dire che: “Gli interventi che saranno descritti prevedono una forte cooperazione tra attori pubblici coinvolti nell’attuazione…”. Certamente non sarà il Mef, che ha la responsabilità del coordinamento generale, a poter svolgere un simile compito, perché non ne ha né le conoscenze, né l’esperienza. Si ricade, pertanto, nella solita molteplicità di attori, con obiettivi, vincoli e capacità non sempre convergenti, senza una guida unica e con possibili controversie, resistenze e ritardi. La debolezza della governance è il prodotto della poco razionale ripartizione di competenze istituzionali, che trae origine dal sistema costituzionale. Ovviarvi nell’assetto attuale è una difficoltà superabile solo al costo di compromessi e spese più elevate.

Altra debolezza del Piano deriva dal tenue modo di affrontare la frammentarietà dell’offerta di servizi, specialmente ricettivi, e l’insufficiente verifica dei loro livelli di qualità. Gran parte delle strutture alberghiere sono di piccola taglia, gestite indipendentemente e con standard qualitativi incerti. Un censimento di tutte le strutture e la verifica dei loro standard effettivi gioverebbe ad identificare le aree critiche e quindi a rendere più selettivi ed adeguati gli aiuti pubblici. Analogamente lo sviluppo delle filiere di strutture e servizi turistici andrebbe perseguito con più determinazione a un livello più alto di quello semplicemente locale. Si tratta di programmare in anticipo per ogni stagione turistica un insieme coordinato di azioni che renda più attrattiva la scelta per il fruitore. Non basta migliorare il contesto di strutture ed infrastrutture per ottenere che la domanda ne colga le opportunità, ma occorre prendere l’iniziativa di programmare indirizzi di sviluppo turistico al cui interno si inseriscano funzionalmente i contributi delle singole azioni.

Probabilmente auspicare che il Piano si orienti in queste direzioni e le realizzi può sembrare utopico in un Paese così frenato da vincoli istituzionali e pluralità di voci in capitolo ed interessi. Ma riuscire a integrare l’organizzazione delle misure strutturali proposte insieme alla digitalizzazione dei processi e a un pressante coordinamento dei soggetti coinvolti potrebbe far compiere al settore quel passo decisivo verso una crescita che si autoalimenti nel tempo. Non si tratta di una sfida impossibile!


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