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Invadono! Anzi no. Così si scalda l’infowar fra Israele e Hamas

Messaggi incrociati, invasioni e coinvolgimenti regionali. Lo scontro tra Israele e i gruppi armati palestinesi cresce di livello sul piano dell’information warfare. Ecco tattiche e scenari

Alla mezzanotte di venerdì 14 maggio, in piena escalation su Gaza, l’esercito israeliano ha comunicato che le operazioni terrestri erano iniziate. La comunicazione era vaga, ma riprendeva una parte di verità (le truppe da giorni sono ammassate al confine con la Striscia, l’artiglieria aveva iniziato i bombardamenti). I media internazionali, pochissimi all’interno dell’area palestinese, hanno diffuso rapidamente l’informazione (d’altronde era un’evoluzione drammatica quanto attesa). Poco dopo però sono tornati indietro, dando parziale smentita. Era l’esercito israeliano stesso a specificare: sono in corso solo attacchi con l’artiglieria, ma non siamo partiti per un’invasione o un’incursione, “ci siamo spiegati male”.

Il fraintendimento è stato la seconda mezza verità diffusa a proposito dell’azione terrestre. Sembra infatti che gli israeliani abbiano fatto circolare l’informazione sull’attacco terrestre come tattica di decption, inganno. Un’operazione di infowar. L’obiettivo era indurre i miliziani dei gruppi palestinesi a credere realmente nell’attacco così che questi si sarebbero rifugiati nei tunnel — l’infrastruttura tentacolare sotterranea che dalla Striscia viene usata per sviare i blocchi israeliani e spostare armi, merci e persone. Un’imboscata. “È così che i tunnel sono diventati trappole mortali per i terroristi a Gaza”, titolava Channel 12, che ha definito la diffusione di disinformazione ai giornalisti stranieri uno “stratagemma pianificato”.

La notizia sull’operazione terrestre è stata pubblicata da New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, National Public Radio e Agence France-Presse — media che ora stanno scrivendo pezzi in cui analizzano l’accaduto, e dal tono sembrano non essere troppo sodisfatti di essere passati per un tool delle Forze armate israeliane.

Il conflitto israelo-palestinese si muove anche sul campo informativo. Anche qui si giocano le chances di una vittoria. Non tanto militare, quanto narrativa e (di conseguenza) politica-diplomatica.

Negli ultimi giorni su Israele sono piovuti missili sia dal Libano che dalla Siria. Al di là dell’effetto tattico militare, l’idea dello Stato ebraico colpito da più fronti solletica la narrazione dei gruppi armati palestinesi.

Non è chiaro chi sia stato a sparare: Hamas ha delle postazioni al sud del Libano e può avere facile accesso ad altre appena oltre il Golan, ma si tratta di aree controllate da altre milizie (armate, come nel caso di Hamas, dai Pasdaran). Tra queste c’è Hezbollah, grande gruppo politico e paramilitare libanese, che l’esercito teocratico iraniano costantemente rifornisce di armi sempre più sofisticate per creare i presupposti di una pressione costante sul nemico israeliano.

L’’infowar non finisce qui. Ne fa parte anche la psyop con cui nel pomeriggio di venerdì sono state diffuse rarissime immagini del comando operativo dello Shin Bet. Il premier Benajamin Netanyahu è stato fotografato con attorno i volti pixellati degli agenti nel Sancta Sanctorum da cui i Servizi segreti interni gestiscono le killing mission con cui sono stati eliminati (anche in questi giorni) alti quadro di Hamas e del Jihad islamico palestinese — i due gruppi impegnati nella rappresaglia contro Israele. Messaggio chiaro: siamo qui, anche la politica e le istituzioni sono qui, e non ci fermeremo.

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