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L’Iran verso la presidenza Raisi? Cosa cambia con un conservatore a Teheran

Il conservatore Raisi ha la strada spianata per vincere le presidenziali e puntare dritto alla Guida. Tiziana Corda (Nasp) spiega il futuro (forse più regionale) dell’Iran

Il Consiglio del sistema per il discernimento delle opportunità, ha deciso di chiudersi a riccio e di escludere due delle principali candidature dell’area pragmatica e riformista dalla corsa per le elezioni da cui uscirà il nuovo presidente dell’Iran dopo il voto del 18 giugno.

Il Sistema, i cui membri sono nominati ogni cinque anni dalla Guida Suprema, ha tagliato le possibilità di partecipare alle elezioni a di figure di spicco. Primo, Eshaq Jahangiri, appartenente alla linea pragmatico-riformista che da otto anni, tramite due presidenze Rouhani, guida il paese. Secondo, Ali Larijani, conservatore pragmatico che poteva raccogliere i voti anche da quella parte di elettorato che ama definirsi “moderato”.

Quest’ultima esclusione è particolarmente notevole. Larijani è uno dei membri di una delle famiglie più potenti dell’Iran, già presidente del Parlamento, da anni parte della sistema che comanda il paese. Il fratello, Sadeq Larijani, è membro del Consiglio dei Guardiani ed ex capo della Giustizia della Repubblica islamica (incarico importante e prestigioso); un altro fratello, Mohammed-Javad Larijani, è ex segretario dell’Alto consiglio per i diritti umani e consigliere speciale della Guida Suprema Ali Khamenei per gli affari internazionali.

L’esclusione di una figura appartenente storico del potere iraniano diventa ancora più rilevante se letta in chiave allargata. Ossia, chi al posto di Larijani, considerato tra i favoriti? La strada è praticamente spianata per Ebrahim Raisi, attuale capo del sistema giudiziario. Conservatore, sfidante sconfitto quattro anni dalla seconda vittoria di Hassan Rouhani. La vittoria alle presidenziali potrebbe portarlo in rampa di lancio verso il ruolo di Guida, spiega Tiziana Corda, esperta di Iran, PhD al Network for the Advancement of Social and Political Studies dell’Università di Milano.

Khamenei è malato da tempo (ha una forma tumorale a quanto pare, ma le informazioni sulle condizioni di salute del capo della teocrazia sono scarse e spesso deviate). Raisi potrebbe ripercorrere la strada dello stesso Khamenei, passato proprio per la presidenza della Repubblica (e prima ancora per la guida del Consiglio del discernimento).

“Raisi partecipa alle presidenziali proprio perché ha bisogno dell’esposizione pubblica che la presidenza gli garantirebbe per costruire quell’autorità politica che ancora gli manca per rafforzare il suo profilo di prossima Guida suprema (nel suo curriculum gli mancano infatti esperienze politiche di primo piano, al di fuori dell’apparato giudiziario)”, spiega Corda

Le vincerà? “Probabilmente, non tanto perché i competitor più forti di altri schieramenti sono stati squalificati — risponde l’esperta italiana — ma perché le fazioni avversarie che in questi anni hanno appoggiato Rouhani hanno fallito agli occhi della popolazione (lo dicono i sondaggi, soprattutto sul fronte economico) e perché lui si è già conquistato da tempo l’appoggio di quasi tutto l’establishment conservatore (Khamenei incluso, dato che l’ha nominato lui al vertice dell’apparato giudiziario due anni fa)”.

Proprio perché non ha ricoperto ruoli politici in passato è difficile predire con precisione la sua postura regionale e internazionale, secondo Corda, “mentre è molto più semplice farlo per candidati per ora squalificati come Ali Larijani e Jahangiri sulla base di quanto da loro fatto negli incarichi politici precedenti”.

In passato Raisi ha però criticato l’attuale presidente Rouhani per non aver aderito pienamente ai principi di “economia di resistenza” definiti da Khamenei come principi guida del paese, giusto? “Il fatto che lui intenda rispettarli non suggerisce però necessariamente un rifiuto per esempio dell’accordo sul nucleare Jcpoa e dei benefici economici che potrebbero ritornare all’Iran in caso di ripristino dell’accordo”, risponde Corda.

“Le dichiarazioni sono sempre più incendiarie delle effettive linee di policy — continua — ben più pragmatiche delle prime, come dopotutto è da tempo diventata la gran parte del sistema politico iraniano. Nella campagna presidenziale del 2017 Raisi dichiarò che la sua priorità sarebbe stata quella di concentrarsi sulla diplomazia economica con i vicini regionali. E magari è quindi legittimo aspettarsi meno enfasi sui rapporti con l’Europa e una maggior attenzione sulle attività, diplomatiche e non, nella regione”.


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