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Così l’Italia e il Quartetto possono fermare l’escalation in Medioriente. Parla Fassino

Piero Fassino, deputato del Pd e presidente della Commissione Esteri della Camera, legge la crisi fra Israele e Palestina e rilancia la proposta dell’ambasciatrice Odeh a Formiche.net: l’Italia può mediare. Ecco come

È un bagno di sangue. All’alba ci si sveglia tra sirene e macerie. Le ragioni delle parti in causa si giocano sulla conta dei cadaveri. Il Medioriente, ora più che mai, è una polveriera. Per tentare una de-escalation di violenza nel conflitto con Israele, la rappresentante diplomatica palestinese Abeer Odeh ha lanciato, attraverso Formiche.net, una proposta. L’Italia potrebbe convocare un tavolo per arrivare a una trattativa di pace fra lo Stato Ebraico e la Palestina. Giriamo la domanda a Piero Fassino, deputato del Pd e presidente della Commissione Esteri della Camera, profondo conoscitore delle lacerazioni mediorientali.

Fassino, l’Italia potrà farsi promotrice di un dialogo di pace tra Israele e la Palestina?

L’Italia ha sempre mantenuto relazioni positive di continua interlocuzione sia con i governi di Israele che con l’autorità palestinese. Interpreto la proposta della ambasciatrice Odeh come un incoraggiamento a una azione italiana a sostegno della convocazione del ‘Quartetto’ composto da Stati Uniti, Russia, Europa e Nazioni Unite.

Dove condurrebbe l’azione del Quartetto a suo avviso?

Bisogna partire dal presupposto che anche la soluzione a questo conflitto può solo essere politica e non militare. Il Quartetto riunisce soggetti forti che possono convincere le parti in conflitto a fermare l’escalation militare. Il ministro Lavrov ha espresso il suo accordo alla convocazione del Quartetto. E anche l’Alto Rappresentante europeo Borrell. Peraltro Biden ha annunciato l’arrivo in Medio Oriente di un suo inviato. Sono tutti atti che dimostrano la volontà della comunità internazionale di fermare la spirale delle armi: è l’obiettivo urgente di queste ore. Se lo si ottiene, si deve mettere subito in campo una iniziativa per riaprire il percorso negoziale fra le parti in conflitto.

In questi anni la comunità internazionale sulla questione israelo-palestinese non si è spesa in maniera incisiva.

Sono d’accordo. Altre emergenze hanno preso il sopravvento e sia le istituzioni internazionali, sia i grandi Paesi sono stati inerti. E intanto la situazione andava sempre più esacerbando. Lasciar passare così tanto tempo non ha portato ad altro che al sanguinoso conflitto a cui stiamo assistendo in questi giorni.

C’è, in questo conflitto, un’asimmetria evidente tra lo Stato Ebraico che colpisce obiettivi militari e Hamas che lancia una pioggia di razzi sui centri urbani israeliani. Lei come la vede?

La mia posizione su questo tema è nota ed è sempre la stessa da tempo, anche quando a sinistra non era ben vista. Occorre garantire l’esistenza di Israele, senza se e senza ma. Un’esistenza sicura perché riconosciuta anche dai suoi vicini. E gli Accordi di Abramo sono importanti perché muovono in questa direzione. Jihad e Hamas rifiutano questa prospettiva e hanno innalzato il livello dello scontro con il lancio di centinaia di razzi sulle città israeliane. Una scelta inaccettabile e da condannare senza esitazioni. Israele ha reagito e non può esserle negato il diritto di difendersi. Ma è regola della comunità internazionale che azioni di difesa devono rispondere a un criterio di proporzionalità. E a questo criterio non può sottrarsi Israele. Così come le manifestazioni di settori ebraici oltranzisti hanno concorso a creare un clima di scontro a Gerusalemme di cui i radicali palestinesi hanno potuto approfittare.

La narrazione delle vicende Mediorientali è spesso lacunosa e superficiale, proprio perché non si conoscono le diverse componenti che intervengono nei conflitti.

Si, per il semplice motivo che per anni, anche della questione Israelo-palestinese, è stata data una lettura superficiale che non corrisponde al dato di realtà. Il punto da avere ben chiaro è che in Medioriente non si contrappongono una ragione un torto, bensì due ragioni. Il diritto di Israele ad esistere e il diritto dei palestinesi ad avere una patria sono ragioni entrambe legittime e la pace si può avere solo riconoscendole entrambe.

La manifestazione al Portico d’Ottavia ha accomunato tutta la politica, fortunatamente, a favore di Israele. Un punto di sintesi per tutti?

La manifestazione fotografa una politica italiana che, sia pure con accenti diversi, è unita nel respingere gli attacchi terroristici a favore della salvaguardia di una democrazia e per costruire un pace che dia soddisfazione ai diritti di due popoli.

La recrudescenza degli scontri sono la dimostrazione dell’inefficacia degli accordi di Abramo del settembre 2020?

Al contrario, quegli Accordi sono utili per dare forza ai negoziati. Sono convinto che se accanto alle firme degli Emirati Arabi Uniti e al Bahrein ci fossero anche quelle di Turchia, Arabia Saudita, Libano e altri Paesi della regione le cose non sarebbero andate come sono andate in questi giorni. Naturalmente oggi non è così, anzi. Ma se non si vuole che un interminabile incendio continui a bruciare il Medio Oriente, la strada da seguire è il negoziato. Tertium non datur.

C’è una relazione fra le dinamiche politiche israeliane e la recrudescenza degli scontri?

Dalla quarta tornata elettorale nell’arco di due anni lo scenario politico israeliano esce ancor più frammentato. E per la costituzione del nuovo governo possono essere determinanti in Parlamento  i voti di una delle due liste arabe che ha dato una sua disponibilità a far parte dell’esecutivo. Questa operazione, per la quale in prima istanza anche Netanyahu ha cercato di percorrere e che oggi viene coltivata dalla possibile coalizione alternativa, sta creando non pochi dissidi. Sia gli ebrei ortodossi e la destra israeliana ultra conservatrice, sia i settori palestinesi più integralisti vedono questa ipotesi come fumo negli occhi. Dunque la radicalizzazione degli scontri e l’acutizzazione del conflitto da parte di Hamas e Jihad è funzionale a bloccare anche solo l’ipotesi di questa operazione e contemporaneamente ad assumere la guida del campo palestinese, estromettendo la leadership di Abu Mazen.

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