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La rissa sulle riforme e il nodo giustizia che agita la politica. Il punto di Vespa

Nelle ultime ore il tema delle riforme e in particolare quello della giustizia ha scaldato gli animi. L’impressione è che la battaglia si combatta sul terreno dei voti alle prossime elezioni anziché sull’interesse collettivo

Mario Draghi sospirerà, non c’è giorno che la sua maggioranza non litighi. Ma tant’è. Nelle ultime ore il tema delle riforme e in particolare quello della giustizia ha scaldato gli animi facendo emergere alcune, almeno apparenti, contraddizioni.

Il primo colpo è stato sparato da Matteo Salvini che, parlando con la Repubblica, ha detto che realisticamente questo governo non riuscirà a fare le riforme della giustizia e del fisco per colpa del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle “per i quali chiunque passi lì accanto è un presunto colpevole”. Era appena stato prosciolto per il caso Gregoretti, ma nelle stesse ore il suo avvocato, Giulia Bongiorno, senatrice e responsabile Giustizia della Lega, intervistata a Zapping su Rai Radio 1 ha parlato in modo quasi entusiastico del ministro Marta Cartabia e delle sue idee di riforma. Un’apertura totale con la sola eccezione dell’ipotesi di impedire l’appello all’imputato, salvo determinati casi, mentre è d’accordo sull’impedire l’appello all’accusa sia in caso di condanna che di assoluzione, restando in piedi solo il ricorso per Cassazione.

Era evidente il suo compiacimento anche sulla revisione della prescrizione tanto voluta dall’ex ministro Alfonso Bonafede rivendicando di essere stata l’unica a denunciare fin dall’inizio quella riforma che definì una “bomba atomica”, metafora oggi accettata da tutti, pur essendo come Bonafede un ministro nel primo governo Conte. Stando alle parole, quindi, la Lega è dalla parte della Cartabia mentre il leader dà per scontato che non succederà nulla. Il vero motivo sarebbe l’intenzione di Salvini di “liberarsi” di Draghi eleggendolo al Quirinale e di avere spazio di manovra in un possibile governo di centrodestra fin dal prossimo anno.

Sempre a parole, Enrico Letta considera quella della giustizia come la prima riforma da fare. L’ha detto alla direzione del Pd invitando Salvini a uscire dal governo se le sue intenzioni fossero davvero quelle di non fare le riforme. Sul tradizionale scambio di invettive via giornali o via Twitter aleggia il fantasma del Movimento 5 Stelle, o meglio il fantasma del Movimento delle origini perché oggi non si capisce quanti siano veramente i Movimenti.

L’incognita sta nel fatto che resta il gruppo parlamentare più numeroso anche se i giustizialisti che portarono a certe scelte del passato sono diminuiti (anche loro tengono famiglia) e Luigi Di Maio sta cercando di avere le mani libere su tanti tavoli: basti vedere l’accordo con Draghi sulla sostituzione di Gennaro Vecchione con Elisabetta Belloni al Dis che non è piaciuta affatto a Giuseppe Conte.

Tra poco bisognerà scoprire le carte perché ci sono dei tempi da rispettare. Il governo prevede leggi delega sui vari temi della giustizia entro la fine di quest’anno e decreti attuativi entro il settembre del 2022. Eppure sono in atto manovre diversive come i referendum che la Lega vuole insieme con i radicali, referendum su temi fondamentali, dalla responsabilità civile dei magistrati alla separazione delle carriere, e che allungando parecchio i tempi sembrano uno specchietto per le allodole: superate le fasi del controllo delle firme e il via libera della Consulta, si può votare dal 15 aprile al 15 giugno, cioè l’anno prossimo, tranne che non vengano sciolte anticipatamente le Camere. Nel frattempo che si fa?

Tutti sanno che se non si rispettano i tempi i soldi europei non arrivano e che si dovrà cominciare presto a far di conto alla Camera e al Senato, anche se Antonio Tajani (Forza Italia) crede che non si potrà andare oltre una maggiore velocità del processo civile proprio per le divisioni politiche. L’apertura dell’avvocato Bongiorno alle proposte Cartabia era sincera, forse perché abituata da decenni alle aule giudiziarie e alle storture dell’attuale ordinamento.

L’impressione è che la battaglia si combatta sul terreno dei voti alle prossime elezioni anziché sull’interesse collettivo rispetto a un settore così importante per la vita dei cittadini e delle aziende.


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