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I militari turchi in Libia non sono mercenari. Parla il portavoce della Vulcano di Rabbia

Il portavoce dei gruppi armati coordinati della Tripolitania spiega a Formiche.net cosa c’è dietro alle tensioni politiche attorno alla ministra Mangoush. Divisioni interne e peso degli attori internazionali

Le formazioni armate di Tripoli e di Misurata, che fanno capo all’operazione “Vulcano di Rabbia”, sono decise a proseguire la loro battaglia per ottenere le dimissioni, o quantomeno assicurazioni, dalla ministra degli Esteri del governo unitario, Najla al-Mangoush, rispetto al ruolo dei consiglieri militari turchi e dei loro uomini presenti in Tripolitania. A spiegarlo a Formiche.net è Mustafa al-Majee il portavoce dell’operazione “Vulcano di Rabbia”, nota per aver cacciato i miliziani dello Stato islamico da Sirte nel 2016 e respinto gli uomini di Khalifa Haftar da Tripoli nel 2020.

In un colloquio avvenuto al termine della riunione degli ufficiali della sua formazione, mobilitati in difesa della presenza turca in Libia, al-Majee ha spiegato: “Siamo scesi in strada a Tripoli perché le dichiarazioni rilasciate di recente dal ministro degli Esteri sulla necessità di ritirare i mercenari e tutte le forze straniere dalla Libia vanno contro quelli che sono i principi del governo unitario che ha un ruolo transitorio e non può mettere in discussione gli accordi internazionali sottoscritti dai governi precedenti”. L’ufficiale libico si riferisce all’accordo firmato dal premier Fayez al-Sarraj del Governo di accordo nazionale libico con la Turchia che prevede la cooperazione in campo militare e di Difesa con Tripoli.

Secondo gli uomini dell’operazione Vulcano di Rabbia, “non è nelle competenze di al-Mangoush entrare nel merito degli accordi internazionali in essere della Libia. Di questo se ne occuperà il prossimo governo che, in quanto eletto, avrà il diritto di modificarli e di annullarli se lo riterrà opportuno”. Su questo punto si era già espresso il presidente del Consiglio presidenziale libico, Mohammed al-Menfi, quando — durante nella sua recente visita in Grecia — ha dichiarato che il governo del premier Abdulhamid al-Dabaiba non modificherà gli accordi sottoscritti con la Turchia, non avendone la competenza.

”Per questo — persegue al-Majee — più che le dimissioni del ministro degli Esteri noi chiediamo quantomeno un chiarimento da parte sua perché la posizione di al-Mangoush contrasta palesemente con quella che è la posizione del governo unitario; dalla Cirenaica invece la ministra viene difesa. Vogliamo che ci dica che i consiglieri militari turchi possono restare perché per noi i mercenari che devono ritirarsi sono i russi della Wagner che stanno aiutando le forze di Khalifa Haftar e quelli sudanesi presenti in Cirenaica”.

Al-Majee ha aggiunto che “quelli della Wagner hanno riempito di mine la parte sud di Tripoli e ora a sminare quella zona ci sono proprio i consiglieri militari turchi nel rispetto della legge e degli accordi internazionali sottoscritti. Loro ci stanno aiutando e per questo riteniamo che il ministro degli Esteri abbia sbagliato”. Dietro a certe dinamiche che so sono innescate ci sono le divisioni interne, che restano nonostante la fase di stabilizzazione innescatesi, e il ruolo (e peso) degli attori internazionali che si muovono sulla Libia.

A scatenare la rabbia delle milizie di Tripoli e di Misurata c’è anche la nomina a capo dell’intelligence di Hussein Al-Aib, a lungo a capo dei servizi segreti del regime di Muammar Gheddafi. “Per noi — spiega il portavoce — si tratta come per al-Manghush di una figura divisiva perché riconosciuta come vicina a Khalifa Haftar”. Al-Majee ha messo in chiaro con Formiche.net che “in realtà Haftar non è altro che la nuova faccia di Gheddafi”: è questa la percezione che in Tripolitania si ha del capo dei miliziani di Bengasi.

Nella notte dell’8 maggio tutte le milizie che fanno capo all’operazione Vulcano di Rabbia si sono riunite per unificare la loro posizione e trasmettere le loro richieste alle autorità libiche. Nel corso della riunione si è discusso delle recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri libico, al-Manghush, sul ritiro delle forze straniere dalla Libia che ha provocato un grosso malcontento a Tripoli. I leader militari hanno pienamente raccolto le loro richieste e le hanno sottoposte al Consiglio presidenziale guidato da Al-Menfi e al governo di unità nazionale guidato da Abdulhamid Al-Dabaiba, andando ieri sera nell’Hotel Corinthia, dove si trova la sede provvisoria del Consiglio.

In questa occasione la Vulcano di Rabbia ha chiarito che non si è trattato di un assalto alla sede del Consiglio presidenziale, come è stata definita dai media locali. “L’unica volta in cui i nostri uomini hanno preso d’assalto l’Hotel Corinthia è stato quando abbiamo cacciato la cellula terroristica dello Stato islamico che si era infiltrata al suo interno nel gennaio 2015, prima di eliminarla poi da Sirte”, ha spiegato al-Majee. Il portavoce dell’operazione ha chiesto infine che “il nuovo governo scelga funzionari che abbiano il sostegno di tutti e non solo di una parte e che chieda alle Nazioni Unite di esercitare pressioni su Haftar affinché consegni le mappe delle mine piantate dalla Wagner nelle case di civili a sud di Tripoli. Serve inoltre di emettere mandati di arresto e procedimenti giudiziari contro coloro che sono coinvolti nella pratica delle fosse comuni a Tarhouna”.

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