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Attenti al Pnrr, il difficile per Draghi deve ancora arrivare. Parla Maffè

L’economista della Bocconi: il piano di Draghi è migliore di quello di Conte, ma per il momento sappiamo solo che ci sono tanti soldi e riforme da fare, ma non il contenuto o i termini temporali delle riforme. Per questo la parte più interessante va ancora scritta. Il patto pubblico-privato rilanciato da Confindustria? Giustissimo, ma in Francia e Germania lo sperimentano da anni

Il difficile viene adesso. Ora che il Pnrr è sul tavolo di Ursula von der Leyen, comincia il vero gioco per Mario Draghi e il suo governo: le riforme, innanzitutto e poi quel patto tra pubblico e privato che il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è tornato a caldeggiare. Forse è per questo che, per dirla con le parole di Carlo Alberto Carnevale Maffè, economista della Bocconi, il Recovery Plan “è come una matrioska: tolto un primo strato, ce ne è un altro e poi un altro ancora: perché il Pnrr sono più operazioni dentro un’operazione”.

Maffè, partiamo dal principio. Questo Recovery Plan le piace oppure no?

Certamente per certi versi è migliore di quello precedente. Ma diciamo una cosa: questo Pnrr è una specie di matrioska, perché da fuori quello che si vede è una valanga di miliardi da distribuire ma in modo molto dispersivo, contrariamente a Francia e Germania che hanno fatto scelte precise. Dentro poi ci sono altre cose e altre sfide, inclusa la natura stessa del Pnrr: questo è un Recovery statalista che non mobilita capitale privato, come invece avrebbe dovuto fare. In più c’è un eccesso di dispersione, sono stati un po’ di soldi a tutti, invece che fare poche cose fatte bene.

Per esempio?

Per esempio le due transizioni, quella digitale e quella ecologica. Bastava puntare tutto su questi due capitoli e mi creda veniva fuori un Recovery Plan migliore. In Francia e Germania hanno fatto così.

Allora si salva poco o niente rispetto al Pnrr di Giuseppe Conte.

No, non è così. Fatte queste premesse e tornando alla prima domanda, rispetto al primo Recovery sono state tolte certamente alcune cose assurde e sciocche, come il cloud centralizzato e il cashback e ne sono state aggiunte altre decisamente più sensate. Ma la vera novità sono le riforme, delle quali nel primo Pnrr non c’era l’ombra. Si parla di Pa, di giustizia, di fisco. Bene, era ora, tutto molto bello. Ma…

Ma?

Ma la parte più interessante del Pnrr va ancora scritta. Mancano le scadenze delle riforme, le cifre. Per questo è come una matrioska: sappiamo cosa c’è dentro fino a un certo punto. Da fuori si vede dipinta la spesa, ma poi dentro ci sono intere cose da scoprire. Sappiamo che ci sono 200 e passa miliardi destinati a questo o quel progetto. E sappiamo che ci sono le riforme. Ma non sappiamo quando farle, come farle e in che tempi. Vede, il bello deve ancora venire, c’è una parte di Pnrr che deve essere ancora scritta ed è quella più difficile e interessante allo stesso tempo.

Allora, scusi, ma a Bruxelles hanno tra le mani qualcosa di parziale, di incompleto? Non per fare il guastafeste, però…

Le cose stanno così. Il Pnrr, quelle 300 pagine sa cosa sono? Sono come un cammello con cui Draghi ha chiesto i soldi a Bruxelles. Ma la mossa è corretta perché da una parte ha venduto ai partiti italiani il fatto che arrivano i soldi. Dall’altra ha venduto a Bruxelles il fatto che arriveranno le riforme in Italia, tanto attese da anni. Insomma, ha dato rassicurazioni da ambo le parti. Draghi ha fatto un Documento di economia e finanza da urlo, con quasi 400 miliardi di deficit e questo ha messo un po’ paura all’Ue. Ma poi ha giocato la carta del Pnrr, che assomiglia tanto, seppur all’opposto, alla lettera famosa della Bce che nel 2011 impose all’Italia le riforme, nell’estate dello spread.

Se c’è qualcuno che quei miliardi del Recovery Plan non vuole sprecarli, sono gli imprenditori. Che hanno rilanciato la necessità di un patto con il pubblico. Tutto già visto e sentito?

Il tema sollevato da Confindustria è sacrosanto perché, a costo di essere noioso, è quello che già accade da tempo in Francia e Germania, dove il patto già c’è. Il Recovery Plan come occasione per riallocare il capitale privato non di sostituirlo. Confindustria dice bene, ma dice quello che in molti Paesi già accade da tempo.

Il Pnrr è la soluzione a tutti i mali?

Mettiamoci bene in testa che 200 miliardi in sei anni non sono così tanti: lo Stato italiano quest’anno spende 950 miliardi di cui 850 di spesa corrente. E allora 35 miliardi all’anno sono poca cosa, non è un piano Marshall, bisognerebbe avere un miglior senso della grandezza. Se poi rischiamo di spendere male anche i soldi che l’Ue ci dà, allora è finita. Pochi soldi e spesi male.

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