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Le milizie di Tripoli attaccano la ministra degli Esteri, tensioni con la Turchia

La ministra Mangoush sotto attacco per aver paragonato i contractor turchi, schierati in Tripolitania, ai mercenari della Wagner che la Russia ha mandato a dare supporto a Haftar

La campagna lanciata due giorni fa dai media legati alla Fratellanza musulmana libica che trasmettono dalla Turchia, come la Tv al-Tanasuh, contro il ministro degli Esteri del nuovo governo unitario libico, Najla al-Mangoush, e il nuovo capo dell’Intelligence, Hussein Al-Aib, ha avuto venerdì sera un culmine: la dura presa di posizione delle milizie di Misurata, che fanno capo all’operazione “Vulcano di Rabbia”, seguita da un’azione delle milizie tripoline all’alba di oggi contro la sede del Consiglio presidenziale libico.

I leader dei gruppi armati della capitale libica hanno fatto irruzione nella sede del Consiglio presidenziale per chiedere la rimozione del ministro degli Esteri e il ritiro della nomina del capo dei servizi segreti, e di far restare al proprio posto il capo dell’intelligence scelto dall’ex premier Fayez al-Sarraj, Imad Trabelsi.

Al Aib — già membro dell’intelligence ai tempi di Gheddafi — è accusato di essere un di Khalifa Haftar, additato di responsabilità nell’offensiva militare lanciata lo scorso anno sulla capitale. La sua nomina da parte del presidente, Mohammed al-Menfi, ha lo scopo di riunificare le istituzioni militari libiche e di accontentare il generale Haftar, che fino a pochi giorni fa sembrava essere l’unico ostacolo al successo di questo governo unitario.

Questo atto di ribellione contro il Consiglio di Presidenza da parte delle milizie è arrivato dopo una riunione dei leader delle forze di “Vulcano di Rabbia” organizzata proprio dal capo dei servizi di intelligence licenziato, al-Trabelsi. La riunione si è conclusa con la diffusione di una nota nella quale si accusa al-Mangoush di aver paragonato le forze turche presenti a Tripoli ai mercenari russi della “Wagner” presenti in Cirenaica, a supporto di Haftar.

Alcuni video diffusi in rete hanno mostrato il momento in cui uomini armati hanno attaccato la sede del Consiglio presidenziale, che si trova presso l’Hotel Corinthia di Tripoli, e ha circondato la zona con decine di veicoli militari. Le forze “Vulcano di Rabbia” ora minacciano di assediare la sede del Consiglio presidenziale e di usare la forza delle armi, se le loro richieste non sarà accolta.

Il comandante della 166a Brigata del Capo di Stato Maggiore, Muhammad al-Hussan, è apparso in un video della riunione, chiedendo che una forza armata fosse mobilitata e attrezzata per circondare la sede del Consiglio presidenziale e del ministero degli Interni, fino a quando queste richieste non saranno attuate, mostrando la sua rabbia per la decisione del Consiglio presidenziale di nominare una persona vicina a Haftar a capo dei servizi di intelligence: “Faremo ascoltare la nostra voce al governo, che non l’ha ascoltata, e vedrete sul terreno la forza che proteggeva e difendeva Tripoli “.

Prima della riunione invece il portavoce dell’ufficio stampa dell’operazione “Vulcano di Rabbia”, Abd al-Malik al-Madani, ha rivelato che una grande forza formata dai combattenti più importanti dell’operazione, si stava preparando ad un eventuale attacco da parte delle forze di Haftar. Al-Madani ha detto in un post su Facebook che i risultati più importanti dell’incontro dei capi militari fedeli a Tripoli saranno quelli di restare uniti e di dichiarare lo stato di massima allerta per prepararsi a qualsiasi emergenza.

Mentre gli uomini armati prendevano d’assalto l’Hotel Corinthia, l’emittente televisiva Al-Arabiya sosteneva che il presidente Al-Menfi era fuggito dall’hotel attraverso la porta sul retro prima dell’arrivo dei miliziani. Fonti del Governo di unità nazionale libico contattate da Formiche.net hanno cercato di minimizzare l’accaduto ricordando che l’Hotel Corinthia non è la sede ufficiale del Consiglio presidenziale – che non ha ancora un una sede per le sue riunioni.

Che la situazione potesse sfuggire di mano lo si era capito giovedì scorso, quando l’ex muftì libico a capo dell’ala più oltranzista delle forze islamiche di Tripoli, al-Sadiq al-Ghariani, dal suo esilio di Istanbul ha usato l’emittente televisiva al-Tanasuh, finanziata dal Qatar, per lanciare invettive contro Mangoush e chiedere di indire una manifestazione a Tripoli contro la ministra. Al-Ghariani, durante la sua ultima apparizione televisiva, ha criticato duramente le dichiarazioni del ministro degli Esteri sul ritiro dei mercenari dalla Libia e ha affermato che “chi ha detto questo non merita rispetto. Il suo comportamento indica che non ha diritto a responsabilità”.

Secondo i media libici vicini a Haftar, come Libya Akhbar 24, dietro questa campagna ci sarebbero i servizi di intelligence turchi, e avrebbe lo scopo di scoraggiare il governo unitario libico dal chiedere il ritiro dei mercenari filo-turchi da Tripoli. Oltre all’emittente televisiva di al-Ghariani abbiamo assistito infatti a un escalation mediatica tramite i social media contro il capo della diplomazia libica con appelli a manifestare contro di lei. Tra i destinatari di questi appelli c’erano personalità di Zawiya a cui è stato chiesto di fare pressione sul governo per nominare Salah Al-Numroush, l’ex ministro della Difesa del governo di Sarraj proveniente proprio da quella città, al posto di Al-Mangoush.

Intanto mentre ieri i capi delle milizie di “Vulcano di Rabbia” si riunivano contro di lei, la ministra degli Esteri compiva un atto simbolico visitando l’ultimo villaggio della Libia prima del confine con il Ciad, teatro di traffici illegali e terreno per milizie di vario genere. Mangoush, arrivata nel primo pomeriggio ad Al-Qatrun, è stata ricevuta dal presidente del Consiglio locale e altri funzionari della città e notabili tuareg, i quali hanno sottolineato il suo coraggio per essere la prima donna ministro a raggiungere Al-Qatrun dall’epoca della monarchia in Libia. A Sebha, nel sud, ci sono state altre manifestazioni contro Mangoush, accusata di aver incontrato ad Al-Qatrun dei miliziani di Haftar.


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