Fabio Agostini, Lapo Pistelli, Stefano Sannino, Franco Anelli, Riccardo Redaelli, Paolo Sellari e Fabio Tambone. Chi c’era e cosa si è detto al webinar “Il nuovo ruolo del Mediterraneo come hub energetico e commerciale”, organizzato dall’operazione Irini in vista di “ShadeMed”. Perché il mare nostrum è un concentrato di geopolitica…
“Nonostante copra appena l’1% delle acque globali, il Mediterraneo ospita il 15% del traffico commerciale marittimo internazionale e il 20% del suo valore aggiunto”. Sintetizza così il rettore dell’Università del Sacro Cuore, prof. Franco Anelli, l’importanza che il mare nostrum riveste nel contesto commerciale ed economico mondiale, argomento al centro del webinar organizzato ieri dall’operazione Irini: “The new role of the Mediterranean as an energy and commercial hub”. È stato il terzo incontro nel percorso di eventi che condurrà alla conferenza “Shade Med” prevista in autunno, organizzato insieme all’ateneo milanese e al Centro di ricerca per il sistema sud e il Mediterraneo allargato (Crissma), con comandante di Irini, ammiraglio Fabio Agostini, il direttore di Crissma Riccardo Redaelli, il direttore degli Affari pubblici di Eni, Lapo Pistelli, il segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), l’ambasciatore Stefano Sannino, il direttore del master in geopolitica e global security dell’università La Sapienza Paolo Sellari, e il direttore capo delle relazioni esterne dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) Fabio Tambone.
L’ECONOMIA BLU DEL MEDITERRANEO
“Il Mediterraneo è una complessa rete economica e sociale, fulcro di tre continenti e punto di incontro e scontro tra credenze, culture, valori e società diverse; sulle sue coste si affacciano 22 Paesi e 150 milioni di persone, cifra che raddoppia durante l’estate”, ha ricordato l’ammiraglio Agostini. Un mare la cui importanza non è solo sociale e culturale ma, molto più prosaicamente, economica: “L’economia blu nel Mediterraneo vale 5,6 trilioni di dollari – ha continuato Agostini – con un valore aggiunto annuo di 450 miliardi di dollari, senza dimenticare che vi passa il 65% dell’energia destinata all’intera Europa; anche il settore della pesca, spesso ignorato, vale da solo quattro miliardi di dollari con oltre 350mila lavoratori impegnati nel settore”.
UNA CENTRALITÀ INVOLONTARIA
Nonostante questi numeri, tuttavia, l’area del Mediterraneo è anche la regione meno integrata del mondo, soprattutto a causa delle numerose faglie di instabilità che attraversano, in particolare ma non solo, le sue coste meridionali e orientali. Inoltre, il Mediterraneo è un sistema fragile, chiuso da ben tre dei nove “grandi chokepoints” globali, le strozzature marittime che limitano e costringono il traffico navale, la cui importanza è salita alla ribalta della cronaca con l’incidente della Evergreen, che bloccando il canale di Suez ha comportato una perdita commerciale di 51 miliardi di dollari, quasi dieci milioni al giorno. “La nuova centralità del Mediterraneo sembra essere una centralità involontaria, e non frutto di un disegno preciso”, ha commentato Riccardo Redaelli, sottolineando come l’area sia percepita più come una regione di instabilità, crisi e insicurezze piuttosto che un luogo dove sia possibile investire.
TRA FRATTURE E OPPORTUNITÀ
“La dichiarazione di Barcellona del 1995 avrebbe dovuto creare una prosperità condivisa nella regione grazie al partenariato euro-mediterraneo, ma la realtà ha virato molto lontano da quegli obiettivi”. Così l’ambasciatore Stefano Sannino, ricordando come il divario in termini economici tra le due sponde del “mare tra le terre” sia costantemente aumentata negli ultimi anni, aggravato dalla mancata realizzazione di un’area di libero scambio mediterranea. “La scoperta dei giacimenti di gas levantini ha dato l’avvio a positivi processi di cooperazione, come quelli tra Grecia, Cipro, Israele ed Egitto, ma anche a confronti piuttosto duri, come quelli tra la Turchia e i suoi vicini” ha continuato Sannino.
IL RUOLO DELL’ITALIA
Durante l’evento, emerge con chiarezza il ruolo-chiave che l’Italia può, e dovrebbe, giocare all’interno dell’economia commerciale mediterranea: “il 79% dell’esportazione totale italiana avviene per mare, di cui il 96% di quella indirizzata extra Ue, mentre le importazioni dipendono dal mare per l’86%, percentuale che sale al 99,4% per le importazioni da Paesi non europei” ha richiamato Lapo Pistelli, aggiungendo che: “siamo il quarto paese Ue per trasporti navali, il terzo per valore aggiunto e il primo per livello di impiegati; siamo primi in Europa nella cantieristica e, per il settore privato e del lusso, primi nel mondo.” Secondo Fabio Tambone: “L’Italia può essere una presenza leader nel Mediterraneo, mettendo in comunicazione non solo le sponde nord e sud, ma anche est e ovest, come dimostrano le numerose iniziative italiane nei Balcani”.
IL PORTO DI TRIESTE
Fondamentale sarà ridurre il gap attualmente presente a livello di infrastrutture portuali, nelle quali l’Italia ha un relativo ritardo limitandosi, tra l’altro, a porti di scambio e non di arrivo delle merci. In questa condizione, tuttavia, l’Italia possiede un asso nella manica. Secondo il professor Paolo Sellari: “Trieste è un porto ad acque profonde, capace perciò di accogliere le moderne mega-navi cargo, che saranno il futuro del trasporto marittimo, in un momento in cui i grandi porti del nord hanno dei gravi problemi a causa della sabbia e dei fondali bassi”. Dotarci di una migliore rete portuale significherebbe per l’Italia inserirsi a pieno titolo nella rotta mediterranea e poterne sfruttare, da protagonista, le opportunità.