Papa Francesco si è congratulato con la rivista dei gesuiti, diretta da padre Antonio Spadaro, per l’edizione in spagnolo dell’antica pubblicazione cattolica. “Cercate Dio dove si fa trovare, in modo speciale in coloro che hanno fame e sete di quella verità che si traduce in opere di giustizia e di misericordia”
La lettera con cui Francesco ha voluto felicitarsi per la nuova versione spagnola de La Civiltà Cattolica, che va a raggiungere quelle in coreano, cinese, inglese, francese, russo e giapponese non è una formalità, un atto di riconoscimento a quelli che si sono chiamati da 170 anni “gli scrittori del papa”.
C’è un passaggio del testo che è molto importante e segue, in modo significativo, la sottolineatura che ora il pubblico a cui si rivolge la rivista, curata dal collegio di scrittori, tutti gesuiti, si arricchisce di lettori di 21 Paesi. Ovviamente Francesco riconosce in questo il remare nella barca di Pietro possibile a chi rema in quella barca scrivendo. Ma aggiunge di puntare “verso il mare aperto”. Ed ecco la frase cruciale: “Cercate Dio dove si fa trovare, in modo speciale in coloro che hanno fame e sete di quella verità che si traduce in opere di giustizia e di misericordia. Cercatelo nei vari ambiti di riflessione filosofica e teologica dei popoli della Spagna, dell’America Latina, e dei Caraibi, nelle loro culture, nei settori della scienza, dell’arte e dell’impegno sociale e politico”. E ancora: “Voi mettete a disposizioni di tutta l’umanità il Vangelo del Regno di Dio come risorsa di salvezza per il nostro tempo”.
Dunque la traduzione in tante lingue de La Civiltà Cattolica indica il desiderio e l’ambizione di compiere quel passaggio da Chiesa occidentale a Chiesa globale che vive dal Concilio Vaticano II ma che oggi appare un viaggio possibile. Questa sfida non può che cercare Dio dove si fa trovare! Quindi il lavoro accanto a chi ha sete di giustizia e misericordia diventa il luogo teologico della Chiesa in uscita, della Chiesa ospedale da campo, quindi di una Chiesa non più autoreferenziale.
Cercare Dio dove si fa trovare fa ricordare una frase famosa di Sant’Ignazio da Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù: “Cercare Dio in tutte le cose ed in tutte trovarlo”. Questo mi sembra lo spirito di chi cerca “verso il mare aperto”. Non resta sui propri territori, sui propri confini, dentro i propri confini, ma va in mare aperto perché sa che quello è l’orizzonte giusto per cercare e trovare. Questa visione che si coglie dunque è la visione globale di una Chiesa cattolica perché universale, e che in quanto dialogo è aperta e dialoga con tutti. Il suo luogo teologico dunque è dove c’è sete di giustizia e di misericordia. Questo messaggio sembra una sintesi della cifra di questo pontificato. Qui si torna ai quattro punti che Francesco ha posto a fondamento del suo documento pontificale, l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio”, cioè avviare processi è più importante di spazi conseguiti, “l’unità prevale sul conflitto”, cioè il perseguimento di un vero bene comune a tutti i figli di Dio è il vero obiettivo, “la realtà è superiore all’idea”, che è la fine di ogni ideologismo, di ogni anteporre alla realtà un’interpretazione della realtà codificata su sistemi interpretativi, “il tutto è superiore alla parte”, che mi sembra la sintesi di quanto detto prima.
In un precedente messaggio a La Civiltà Cattolica, per il suo numero 4000, Francesco indicò tre bussole, tre “i”: “inquietudine”, perché solo l’inquietudine dà pace, “incompletezza”, perché solo la consapevolezza dell’incompletezza del proprio pensiero può portare a liberarsi dal pensiero rigido, “immaginazione”, perché solo immaginando si può capire di più del mondo e di chi lo vive. Credo che solo inquieti, consapevoli della propria incompletezza di pensiero e capaci di immaginare si possa remare “verso il mare aperto”, salpando.