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Papa Francesco e il muro contro la corruzione. Scrive D’Ambrosio

Sembrerebbe che il papa abbia avuto il coraggio di denunciare la piaga della corruzione, di introdurre alcune riforme nella Sede Apostolica, ma non tutti i pastori e i laici cattolici italiani (e non solo) siano pronti a fare altrettanto

“Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti” (Lc 16,10). Si apre con questo riferimento l’ultimo atto di papa Francesco, contro la corruzione: un “Motu proprio” sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica. Sono norme precise e puntuali per debellare il fenomeno della corruzione nella Sede Apostolica. Esse assumono un importante valore se le cogliamo con un altro “mattone” nel muro anticorruzione che il papa sta costruendo nel suo pontificato. Il tema della lotta alla corruzione è per papa Francesco una priorità, interna e globale. In un’intervista ha detto sinteticamente che i mali più grandi del mondo sono: “Pobreza, corrupción, trata de personas” (ovvero: povertà, corruzione e tratta di persone; intervista del 2015).

È innegabile che, nel dopo Concilio, sia mancata nella Chiesa cattolica italiana una seria riflessione su potere e denaro, due enormi problemi della vita istituzionale, nonostante l’attenzione ad essi del magistero papale. Tanti sono i riferimenti dei pontefici, negli anni considerati. Ne citiamo solo alcuni. Paolo VI fa riferimento a una “ricerca esclusiva dell’interesse e del potere” (PP, 26). Giovanni Paolo II parla di “brama esclusiva del profitto e sete del potere”, che nel panorama odierno sono “indissolubilmente uniti, sia che predomini l’uno o l’altro” (SRS, 37). Benedetto XVI fa riferimento a “falsi dei [che, ndr], qualunque sia il nome, l’immagine o la forma che loro attribuiamo, sono quasi sempre collegati all’adorazione di tre realtà: i beni materiali, l’amore possessivo, il potere”. (18.7. 2008). E poi papa Francesco: “A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta” (EG, 56, uno dei suoi tanti interventi).

Ma papa Francesco non si ferma alla sola denuncia, anzi. Il “sistema corruzione”, che coinvolge anche gli ecclesiastici, è prima di tutto interpretato da Jorge Mario Bergoglio, nel suo “Corrupción y pecado”, con queste parole: “La corruzione non è un atto, ma uno stato personale e sociale, nel quale uno si abitua a vivere. I valori (i non-valori) della corruzione sono integrati in una vera cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare”. Francesco svolge sempre un’analisi antropologica ed etica dei mali istituzionali, partendo – o concludendo – con un forte ancoramento alla Scrittura. Nel “Motu proprio” ultimo le stesse disposizioni pratiche hanno un ancoraggio evangelico molto forte, che corre sul filo della responsabilità davanti a Dio e alla comunità, orientando le proprie azioni alla trasparenza massima e rispondendo sempre di esse (rimando a quanto scritto con il procuratore aggiunto Francesco Giannella nel libro “La corruzione: attori e trame”).

E gli stessi criteri etici vanno applicati alle diverse attività cattoliche che gestiscono risorse finanziarie, specie pubbliche. Sappiamo che negli ultimi anni sono cresciute le domande sull’operato dei credenti, sulle loro strutture di religiosità popolare o di accoglienza per immigrati, su convenzioni e rapporti con le istituzioni pubbliche, su utilizzo e gestione delle risorse economiche provenienti dai fedeli. Le critiche sono tante, di diversa natura e intenzioni. In genere esprimono preoccupazioni e dubbi su un operare di alcuni pastori e strutture cattoliche che non sempre sono ispirate dai criteri evangelici di bene comune, giustizia, pace e tutela degli ultimi; su rapporti con il potere politico poco profetici, forse perché attenti ad accordi preferenziali e a trattamenti di favore e privilegi economici.

Sembrerebbe che il papa abbia avuto il coraggio di denunciare la piaga della corruzione, di introdurre alcune riforme nella Sede Apostolica, ma non tutti i pastori e i laici cattolici italiani (e non solo) siano pronti a fare altrettanto. Il pontificato di Francesco è ancora accompagnato da fenomeni di corruzione a livello di curia vaticana, come d’istituzioni cattoliche sparse nel mondo. Forse, come Chiesa italiana, abbiamo riflettuto molto sull’etica personale, familiare e sessuale, ma molto poco su quella sociale, economica e politica, sul nostro rapporto con denaro e potere e sul fatto che il Vangelo (Lc 16, 13) non è affatto cambiato: “Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”.


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