Il capo della milizia nigeriana è stato ucciso (o si è martirizzato) durante un pesante regolamento di conti tra organizzazioni collegate all’IS
Oltre 300 giovanissimi combattenti fedeli alla provincia dello Stato islamico dell’Africa occidentale (ISWAP) addestrati in Libia e in altri paesi si sono uniti ad altri nella battaglia finale che ha portato alla caduta finale del leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, e nei giorni scorsi chiuso un passaggio della guerra jihadista intra-nigeriana.
La notizia è doppia: c’è lo scontro fratricida tra gruppi affiliati allo Stato islamico, c’è la morte di colui che per primo fece la baya in Africa; ossia il leader dell’organizzazione jihadista del Nord della Nigeria che nei giorni d’oro del 2015 aveva giurato fedeltà al Califfo, il defunto Abu Bakr al Baghdadi.
ISWAP, che vuole essere il polo di attrazione baghdadista in quella regione, è nata da una costola dei Boko Haram, ma da tempo la divisione è diventata scontro. Dal 2016, molti dei figli dei combattimenti della diaspora morti o reduci dalla guerra con i governativi nigeriani e con gli altri miliziani, hanno iniziato l’addestramento. Ragazzi (dai 12 ai 30 anni di età) spediti in Libia o Siria o Somalia ad apprendere l’arte della guerriglia terroristica, ora tornati assetati di vendetta.
Da fine marzo si sono accampati in un villaggio chiamato Shuwaram nell’area del Kukawa, nello stato federato del Borno (Nigeria settentrionale). Covavano odio, pianificavano l’attacco. Fonti dei media locali raccontano che nelle scorse settimane uno dei massimi comandanti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante e i suoi luogotenenti avevano visitato le rive del lago Ciad in compagnia del leader dell’ISWAP, Goni Mustafa.
Mercoledì 19 a quanto pare c’è stata la resa dei conti. Combattenti armati di armi sofisticate sottratte negli anni agli eserciti nigeriani e kenioti, sono penetrati nella famigerata foresta di Sambisa, il luogo che Shekau usava come rifugio sicuro per anni.
Secondo alcune ricostruzioni, quando Shekau ha capito che era arrivata la sua fine, con gli uomini dell’ISWAP che avevano già massacrato le sue sentinelle, ha scelto il martirio facendo detonare il giubbotto esplosivo che indossava sempre — come fanno tutti i leader jihadisti; anche Baghdadi, accerchiato dalla Delta Force statunitense, si fece esplodere pur di non farsi catturare.
Finire in mano al nemico è inaccettabile tanto quanto lo sono gli ordini di rinunciare alla sua posizione di grande emiro del gruppo e successore del fondatore del gruppo Mohammed Yusuf, secondo le richieste dell’ISWAP.
L’AFP tuttavia ha una versione diversa: Shekau si sarebbe sparato al petto, e una volta a terra, mentre sanguinava copiosamente, è stato portato via ancora in vita in una destinazione sconosciuta da alcuni dei suoi lealisti sopravvissuti — la morte di Shekau ha sempre qualcosa di misterioso: il comandante è stato dichiarato ucciso in diverse occasioni dal 2014 a oggi.
Le tensioni attorno alla regione del Lago Ciad sono altissime. Le condizioni di sicurezza in continuo degrado. Alla presenza di gruppi armati e formazioni jihadiste si sommano faide interne tra di loro. Da tempo diversi paesi occidentali stanno cercando di dare assistenza militare ai governi locali, ma i risultati sono scarsi e il rischio osmotico, in quelle aree dove i confini sono laschi, è la ragione di una crescente preoccupazione per le sorti dell’area — dove per altro le statualità sembrano organizzate, attrezzate, peggio dei gruppi.
L’uccisione di Shekau, oltre un regolamento di conti interno, ha una ragione tattica. Il leader dei Boko non voleva chiaramente ospitare i comandanti dell’ISWAP che volevano trasferirsi a Sambisa e nelle aree montuose per eludere gli attacchi aerei dei jet militari governativi.
Shekau guidava Boko Haram dal 2009 ed è responsabile per l’uccisione di migliaia di persone. Le azioni condotte dal gruppo sotto i suoi ordini hanno prodotto oltre tre milioni di profughi, fuggiti dagli stati di Borno, Yobe e Adamawa nel corso degli anni. Sebbene Boko Haram non ha mai perso la sua pericolosità, la controffensiva del 2015, condotta dalle truppe nigeriane sostenute da soldati del Camerun, del Ciad e del Niger, ha respinto Shekau e i suoi combattenti nella maggior parte delle aree che un tempo controllava. Fu a seguito di questo che alcuni combattenti, tra cui il defunto Mamman Nur, si sono staccati nel 2016 e hanno formato l’ISWAP, nominando Abu Musab Albarnawy, il figlio del fondatore Yusuf, come loro capo.