La questione sinodo ha fatto emergere ancora di più una frattura latente nella comunità cattolica italiana. Ritrovarsi con un papa che lo vuole attuare e, pertanto, riformare la Chiesa secondo lo spirito conciliare, è ovvio che crei in alcuni settori tradizionalisti e reazionari molte resistenze. Il commento di Rocco D’Ambrosio, presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma
Sembra essere troppo poco ciò che è emerso dall’ultima assemblea dei Vescovi italiani, relativamente al probabile sinodo della Chiesa italiana, chiesto più volte da papa Francesco, ma con diverse perplessità e opposizioni da parte di alcuni vescovi. Mia opinione (strettamente personale) è che la questione sinodo abbia fatto emergere ancora di più una frattura latente nella comunità cattolica italiana.
Il sinodo non piace ad alcuni pastori e laici cattolici. Dal punto di vista istituzionale ciò non costituisce affatto una novità. Quanto più è radicale, motivata ed estesa la riforma che si vuole introdurre (come nel caso del Vaticano II) tanto più sarà forte la reazione. In generale si può dire che le istituzioni normalmente resistono alle innovazioni. Ciò spiegherebbe perché, in questo momento storico, è in atto una forte resistenza alla riforma di Francesco. Il dibattito sullo stile del papa, sulla sua concezione di potere e sui gesti eloquenti del suo ministero, sono ben “poca” cosa rispetto al fatto che l’istituzione Chiesa è davanti a una scelta epocale: attuare il Vaticano II (dove non è stato ancora fatto) oppure ritornare a un modello di Chiesa precedente.
Non possiamo dimenticare, infatti, che l’elezione di Francesco, specie in alcune Chiese locali nazionali (come quella italiana), è stata preceduta da dibattiti che mettevano in discussione la validità dell’ultimo Concilio. Ritrovarsi, ora, con un papa che lo vuole attuare e, pertanto, riformare la Chiesa secondo lo spirito conciliare, è ovvio che crei in alcuni settori tradizionalisti e reazionari molte resistenze.
Per farsi rinnovare dal Concilio, al di là delle esperienze personali e comunitarie, bisogna mettere in crisi un diffuso modello di Chiesa. Sinteticamente mi riferisco, almeno in Italia, a un modello che sembra avere molte certezze e pochi dubbi; che insiste solo su alcuni temi morali e trascura altri, che ricerca la maggioranza numerica e la preminenza culturale; che tende ad accrescere privilegi e sussidi statali; che non è molto vigile su degenerazioni del potere e corruzione; che si organizza in maniera molto gerarchizzata e clericalizzata; che forma male e promuove poco il laicato.
È lo stesso modello di Chiesa che sembra essere poco attento ai temi cari a questo pontificato. Per papa Francesco la riforma si attua se si ridà vitalità teorica e pratica a temi quali l’opzione preferenziale per i poveri, un nuovo slancio missionario, la povertà e la sobrietà nella vita ecclesiale, l’impegno per la giustizia e la lotta contro la corruzione di tutte le istituzioni (Chiesa cattolica inclusa), il debellare la piaga della pedofilia, la collegialità episcopale, la sinodalità, la promozione del laicato, l’attenzione ad alcune prassi familiari, un rinnovato impegno ecumenico, la cura della natura, per citare i maggiori.
L’accoglienza di questi temi richiede, in molti casi un cambiamento radicale, o, come ha spiegato il pontefice, un frantumare alcuni schemi consolidati: si pensi, in Italia, all’eccessiva burocratizzazione e clericalizzazione delle comunità, atteggiamenti lontani anni luce dalla sinodalità. “La Parola – scrive il papa – ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cfr Mc 4,26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi” (EG, 22). L’espressione “rompere gli schemi” ritorna molto spesso negli interventi di Francesco e non è semplicemente un consiglio per accettare le proposte di riforma ecclesiale, è, invece, una precisa convinzione di fede e di modello di Chiesa.
È abbastanza chiaro che ci sono pastori e laici che sono entrati in quest’ottica di cambio radicale; ma ci sono altri (di maggior o minor numero è difficile dirlo) che si oppongono a ciò. Tuttavia, credo, che il gruppo peggiore sia di coloro che si potrebbe definire quello del né pro – né contro Francesco. Sembrano essere favorevoli alla linea conciliare del papa, tuttavia si guardano bene dal dirlo pubblicamente; anzi gradiscono che si parli il meno possibile di papa Bergoglio. Il papa piace per alcune cose, tuttavia infastidisce, a detta loro, per altre, come il suo stile e la sua franchezza, considerate poco diplomatiche; un esagerato riferimento alle questioni sociali e alla povertà e così via. In sintesi il papa piace loro, ma non abbastanza da dirlo pubblicamente, non tanto da coinvolgersi nel suo progetto di riforma o, ancor peggio, tanto da… aspettare il prossimo papa. Molto, in questo gruppo, è avvolto nell’ambiguità e ipocrisia. In quest’ottica si comprende bene come questo gruppo sembra essere più pericoloso del precedente che, apertamente, si schiera contro e, almeno, ha il coraggio e la franchezza per farlo.
In questa situazione, in parte di stallo, si farà il Sinodo così come lo chiede, per contenuti e stile papa Francesco? Forse sì, forse no. Intanto potrebbe aiutare la meditazione di quanto scriveva Jean Guitton: “La storia della Rivoluzione Francese, che non ho qui il bisogno di ricordare, è un esempio di questa legge della storia, la quale vuole che un’azione troppo forte porti ad una reazione a sua volta troppo forte, e sia così necessario molto tempo perché la verità dell’azione, combinata con la verità della reazione, dia origine a una sintesi. Oggi siamo arrivati ad un momento della vita della Chiesa in cui è grande il pericolo che l’eccesso delle verità conduca a degli errori; è il momento drammatico in cui non si deve più continuare sulla strada in discesa. Questo perché tale discesa porterebbe all’abisso”.