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Io ti ho “creato” e io ti distruggo. Il vaccino Sputnik stroncato da The Lancet

Dati scadenti, procedure opache, accessi negati. Uno studio appena pubblicato sull’autorevole rivista medica mette a nudo le “prove” scientifiche della validità del vaccino russo e la manipolazione dei dati da parte dei ricercatori del Cremlino, dando uno schiaffo sonoro alla campagna pubblicitaria di Spuntik V. E dire che proprio la pubblicazione fu la prima (e l’unica) a “sdoganare” il farmaco

È definitivo: il vaccino russo Sputnik V, prodotto e distribuito dall’Istituto Gamaleya di Mosca (con il patrocinio delle autorità russe), è un bluff. Non solo i dati forniti dai ricercatori russi non rispecchiano le statistiche del mondo reale, ma la costante mancanza di trasparenza da parte russa porta a sospettare una manipolazione dei risultati presentati dai ricercatori del Gamaleya alla comunità internazionale.

A svelare le carte è uno studio appena pubblicato su The Lancet, ossia l’autorevole rivista medica che a febbraio aveva certificato la validità di Sputnik (basandosi sui dati del Gamaleya) dichiarando un’efficacia pari al 91,6%. Su quella statistica “accreditata” il Russian Direct Investment Fund (Rdif), il fondo sovrano russo che commercializza il siero nel mondo, aveva imperniato la sua aggressiva campagna pubblicitaria internazionale.

Gli ultimi dati sono un’autentica doccia gelata per il fronte pro-Sputnik. Come evidenziavamo a marzo su Formiche.net, tutti i risultati della sperimentazione del farmaco (tra cui la fase 3, ossia i test su larga scala) erano stati forniti a The Lancet dallo stesso Istituto Gamaleya. Nel frattempo, però, altri ricercatori internazionali (statunitensi, olandesi, francesi, italiani e anche russi) hanno passato al setaccio i dati. Ecco cosa hanno scoperto.

Dalla Russia senza dati

Lo studio apparso mercoledì su The Lancet descrive le discrepanze tra le statistiche reali relative all’utilizzo globale di Sputnik V e i risultati presentati dal Gamaleya a febbraio. Gli autori si concentrano sull’opacità dei processi di verifica del Gamaleya, spiegando che diversi esperti indipendenti avevano rilevato problemi con i risultati delle fasi 1 e 2 (i test iniziali) e che le loro richieste di accesso ai dati originali è sempre stato negato. Stesso discorso per i dati della fase 3.

“L’accesso limitato ai dati ostacola la fiducia nella ricerca”, scrivono gli autori. “L’accesso ai dati alla base dei risultati dello studio è indispensabile per verificare e confermare i risultati dichiarati. È ancora più grave se ci sono errori evidenti e incongruenze numeriche nelle statistiche e nei risultati presentati. Purtroppo, questo sembra essere ciò che sta accadendo nel caso del processo di fase 3 dello Sputnik V”.

Il secondo punto di criticità sono le tre analisi ad interim dichiarate dai russi a novembre 2020 ma mai apparse nei database pubblici. I risultati di quelle analisi sono stati cruciali per arrivare al numero magico – 91,6% di efficacia – ma le motivazioni che hanno portato a quelle (ottime) conclusioni rimangono oscure. Non solo: la formulazione della misura dell’esito principale, ossia l’efficacia, è “inconsistente”.

C’è di più: gli autori rimarcano la mancanza di dati relativa alle misurazioni con cui i ricercatori russi controllavano se i soggetti dei test clinici avessero contratto il Covid-19. Per finire, essi sottolineano le pesanti discrepanze tra i numeri dei gruppi di soggetti: quelli di alcuni giorni non corrispondono a quelli di altri, e non sono mai state date spiegazioni riguardo a queste oscillazioni.

“In linea con le nostre preoccupazioni precedenti, legate ai risultati delle fasi 1 e 2 e la rendicontazione scadente dei risultati intermedi della fase 3, invitiamo ancora una volta gli sperimentatori (del Gamaleya, ndr) a rendere pubblicamente disponibili i dati su cui si basano le loro analisi”, concludono gli autori.

“L’accesso al protocollo, alle sue modifiche e alle cartelle cliniche dei singoli pazienti è fondamentale, tanto per i chiarimenti quanto per una discussione aperta di tutte le questioni. Invitiamo inoltre gli editori di The Lancet a chiarire le conseguenze dell’ulteriore negazione dell’accesso ai dati necessari per la valutazione dei risultati presentati, qualora gli autori continuassero a negarlo”.

Qui la risposta dei ricercatori del Gamaleya, che rimarcano la validità degli studi condotti, attribuiscono le discrepanze numeriche a “errori di battitura” e ricordano che Spuntik V è stato approvato in 51 Paesi.

Sputnik: o lo ami o ti informi

Le rivelazioni apparse su The Lancet sono un colpo durissimo per gli sforzi di diplomazia vaccinale del Cremlino. Negli scorsi mesi un misto di disinformazione russa, pressioni geopolitiche e scarsità di dosi aveva portato diversi politici europei a premere sui rispettivi Paesi e sull’Ema, l’agenzia europea del farmaco, per velocizzare l’approvazione di Sputnik, che è in stallo, appunto, per mancanza di dati.

I campanelli d’allarme hanno risuonato più volte. A marzo Christa Wirthumer-Hoche, presidente del board di Ema, aveva già avvertito dei problemi di trasparenza, dicendo che utilizzare Sputnik equivaleva a giocare alla roulette russa. E i colloqui ad alto livello tra capi di Stato apparentemente desiderosi di comprare e produrre Sputnik non si sono mai tradotti in iniziative concrete.

In Europa solo l’Ungheria di Viktor Orbàn sta utilizzando il siero russo, in barba agli avvertimenti dell’Ema. La Slovacchia, che aveva comprato 200.000 dosi, non ne ha ancora utilizzata nessuna dopo che l’organo di controllo locale ha accusato la Russia di aver fornito vaccini con dosaggi diversi da quelli pubblicizzati. E a fine aprile l’autorità sanitaria del Brasile ha bloccato l’utilizzo di Sputnik per via di motivi legati alla trasparenza, oltre alla preoccupante notizia che il farmaco fornito dal Rdif conteneva un virus teoricamente disattivato, ma capace di replicarsi.

Anche sul fronte produzione le notizie sono pessime. Pur avendo approvato il vaccino ad agosto 2020 (la prima nazione al mondo a farlo, ma saltando a piè pari la fase 3) la Russia è riuscita a vaccinare solo 14 milioni dei suoi 144 milioni di cittadini, e finora ha consegnato solo una minima parte dei vaccini prenotati. Motivo per cui il Rdif sta stringendo accordi di produzione in giro per il mondo, anche se produrre Sputnik rispetto ad altri vaccini moderni è una scelta tatticamente sbagliata.

Tutto questo corpus di prove non sembra aver dissuaso il fronte italiano dei pro-Sputnik, di cui l’esponente più in vista al momento è il governatore della Campania Vincenzo De Luca, che ha ordinato preventivamente milioni di dosi e continua a martellare le autorità preposte per farlo approvare in fretta. Ma i fan del vaccino russo spaziano in tutto lo spettro politico. Fortuna che il presidente del consiglio dei ministri, Mario Draghi, non ha intenzione di discostarsi dalle linee guida dettate dall’Ema.

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