La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è affiancata dalla nuova competizione in campo missilistico. Qui anche la Russia può dire la sua, ponendo inedite sfide strategiche alla Nato e all’Europa. L’analisi del generale Pasquale Preziosa, presidente dell’osservatorio sicurezza Eurispes, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare
La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, originata dalla precedente amministrazione americana, ha innescato dinamiche capaci di generare effetti negativi anche su altri Paesi, Unione europea compresa, con il timore di un collasso del Wto. Gli Stati Uniti, con la nuova presidenza, hanno maturato la convinzione che la sola “trade war”, condotta peraltro in autonomia, non sia sufficiente a mitigare i positivi trend di crescita cinese. La grande magnitudine del problema presupporrà il coinvolgimento di tutta la comunità occidentale e asiatica filoamericana, per creare uno strumento strategicamente più credibile per contenere l’avanzata del “dragone”. In tal senso, Washington ha elaborato una nuova strategia in approvazione presso il Senato denominata “Strategic Competition Act of 2021” per fermare la crescente influenza cinese nel mondo, richiamando più forti misure di sicurezza con il Giappone, l’Australia, l’India e l’Europa, nonché con i tradizionali componenti del “Five eyes”.
Le premesse da cui parte la nuova strategia sono basate sulla constatazione che le politiche internazionali seguite dalla Cina nei domini diplomatico, economico, militare, tecnologico sono contrarie agli interessi e ai valori americani, dei loro partner e di molti altri Paesi nel mondo. Lo “Strategic Competition Act” di fatto darà continuità alla “trade war” della precedente amministrazione, allargando la partecipazione a molti Paesi e ampliandone di molto i campi del confronto: può essere considerata la strategia di contenimento e contrasto della Belt & Road initiative cinese.
Queste iniziative strategiche, cinese e americana, delineano quindi, un nuovo periodo di confronto continuo su tutti i campi di interesse tra i due Paesi, ai quali si affianca la Russia soprattutto nel campo degli armamenti. Secondo Michael McFaul si passerà dalla “Guerra fredda” alla “Pace calda”. Il documento americano delinea una nuova strategia per l’Occidente che spazia dagli investimenti internazionali, alla tecnologia digitale e alla connettività, al contrasto dell’influenza internazionale del Partito comunista cinese, agli investimenti nelle alleanze e partnership, ai Paesi indo-pacifici e alla libertà di movimento dei traffici commerciali, alle strategie regionali per il contrasto delle asserzioni cinesi, alle relazioni con l’Europa, il Canada e l’America Latina, con i Paesi asiatici del centro e del sud, con tutti i Paesi africani, con il Medio Oriente e Nord Africa, con l’Oceania, per la promozione dei valori democratici in Hong Kong, le sanzioni per il lavoro forzato imposto nella “Xinjiang Uyghur Autonomus Region”, alla violazione delle proprietà intellettuali e molto altro.
La nuova strategia degli Stati Uniti poggia ora il suo successo su due pilastri: il coinvolgimento di tutti i Paesi occidentali e filoamericani nel progetto e l’allargamento dei campi di contrasto e contenimento in tutti i settori della sicurezza nazionale. Eppure, la politica estera Usa e quella dell’Unione europea non sono più perfettamente allineate come nel passato. L’Europa guarda a est per l’energia, per il commercio e la cooperazione, e ha una percezione della Russia e della Cina su alcuni punti differente rispetto agli Stati Uniti. Guarda poi a ovest per i vaccini e per la difesa dell’Europa.
Secondo l’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell “c’è una sistematica rivalità, i sistemi politici sono differenti; saranno comunque il Parlamento europeo e il Consiglio europeo che prossimamente delineeranno i lineamenti di politica estera con la Cina”. L’Unione europea, quindi, dovrà stabilire i nuovi lineamenti di politica estera con Pechino, in relazione alle proposte di Washington e al quadro consolidatosi al termine della presidenza Trump.
Il settore invece, che ha presentato sorprese importanti, è quello degli armamenti. Cina e Russia hanno evidenziato capacità anche superiori agli Stati Uniti per dotare di tecnologia ipersonica il settore nucleare. L’ipersonico asiatico scardina i precedenti equilibri di forza a favore della Cina e della Russia. Durante il “presidential address to the federal assembly”, il presidente Vladimir Putin ha affermato che “nel 2024 il 76% delle forze militari convenzionali sarà equipaggiata con i nuovi armamenti, mentre l’88% degli armamenti nucleari sarà ammodernata entro il 2021”.
Sono già schierati i missili intercontinentali con capacità ipersoniche Avangard (HGV- Hypersonic Glide Vehicle) e i sistemi di combattimento basati sul Laser “Peresvet” per l’Air defense e Missile defense. Saranno operativi entro il 2022 i super-heavy missili intercontinentali balistici, Sarmat, in grado di eludere le difese Abm statunitensi e capaci di trasportare fino a 24 testate HGV. Il numero dei velivoli da combattimento equipaggiati con missili ipersonici Kinzhal (duemila chilometri di gittata, con velocità fino a Mach 10) aumenterà, come pure lo schieramento dei missili da crociera Kalibr (subsonici-supersonici) sulle navi da combattimento. Il missile ipersonico Zircon (mille chilometri, Mach 8-9) antinave (invisibile ai radar) entrerà in servizio prossimamente.
La Russia ha ora in sviluppo per i sottomarini un più moderno sistema di grandi siluri da combattimento Poseidon (“tsunami apocalypse torpedo”) in grado di colpire obiettivi costieri con armamento termonucleare (2 Megaton) e il sistema denominato Burevestnik (Petrel), missile da crociera a propulsione nucleare. La Russia ha tenuto a ribadire che ha raggiunto livelli di sicurezza nazionale molto alti, mai raggiunti prima.
La Cina ha già fatto i primi test sui velivoli ipersonici. Nel deserto del Gobi ha terminato da tempo le prove per il velivolo “Jiageng 1”, sviluppato dalla Xiamen University dopo studi e progettazioni durati dieci anni; ha adottato il disegno “wave-rider”, simile al progetto Usa Boeing X-51 (Mach 5.1, pari a 5.400 Km/h) e l’anno scorso l’Università di Pechino ha già provato nella galleria del vento un “I-Plane” per velocità fino a Mach 7.
Negli Stati Uniti, Raytheon sta sviluppando nuovi missili ipersonici con il concetto Hypersonic Air-Breathing Weapon insieme all’Air Force e alla Darpa. I Paesi europei non hanno investito a sufficienza nella ricerca tecnologica ipersonica e sono alla ricerca di possibili rimedi.
In attesa di mettere a punto le nuove tecnologie e armamenti allo stato dell’arte per bilanciare la prevalenza ipersonica della Russia e della Cina, gli Stati Uniti stanno sviluppando la “Integrated Deterrence” per la mitigazione dei rischi per la sicurezza nazionale.
Il quadro geopolitico odierno è molto cambiato, decisamente più complesso. Gli Stati Uniti, e quindi la Nato, hanno perso terreno nel campo della deterrenza in esito alle nuove capacità ipersoniche raggiunte sia dalla Russia, sia dalla Cina. L’Europa, di conseguenza, come gli Usa, non potrà più godere dei livelli di sicurezza precedenti. Il gap ipersonico occidentale e la nuova corsa agli armamenti si riflette negativamente sui livelli di sicurezza e difesa degli Usa e, conseguentemente, dell’Europa. Gli Stati Uniti hanno perso infatti l’alto livello di deterrenza che gli avevano consentito di esercitare la “dominance” nel passato e conseguentemente la Nato mostra già i segni del suo indebolimento. Il recupero del gap militare è complesso sotto il profilo tecnologico e costoso per la parte finanziaria. La Nato, e quindi gli Usa, deve oggi lavorare per recuperare il gap tecnologico e ripristinare una credibile deterrenza per ripristinare i livelli precedenti di sicurezza nazionale.
L’Europa può fare molto con la Pesco, la cooperazione strutturata permanente, rinegoziando il rapporto transatlantico su nuove basi, inteso a rafforzare il ruolo dell’Occidente in competizione, ma anche in cooperazione con quello asiatico. Le nuove basi negoziali contribuirebbero ad abbassare i livelli di instabilità del quadro geopolitico odierno, mitigando al ribasso i livelli di rischio di una trasformazione traumatica degli instabili equilibri mondiali.