In Commissione Esteri della Camera una risoluzione unanime condanna la persecuzione degli uiguri da parte della Cina e chiede al governo di agire, anche in Ue. Ma dal testo finale scompare la parola “genocidio”. Protesta di fronte alla Farnesina per una famiglia di uiguri in Italia separata dal governo cinese
Alla fine è stata rimossa la parola più controversa: “genocidio”. Ma sulla persecuzione cinese degli uiguri tutte le forze politiche, maggioranza e opposizione, ora cantano all’unisono. In Commissione Esteri alla Camera una risoluzione unitaria firmata da Paolo Formentini (Lega), Andrea Delmastro (Fdi), Lia Quartapelle (Pd), Iolanda Di Stasio (M5S) e Valentino Valentini (Fi) impegna il governo ad “esprimere, in tutte le sedi internazionali competenti, la più ferma condanna dell’Italia per ogni genere di violazione dei diritti umani praticata da uno Stato nei confronti degli appartenenti ad una minoranza etnica o religiosa”.
Si sblocca così un impasse che da tempo impediva al Parlamento di esprimere una condanna univoca del regime di apartheid cui sono sottoposti gli uiguri, popolazione turcofona e di religione musulmana, nella regione dello Xinjiang, rinchiusi nei “campi di rieducazione” del governo centrale con il pretesto di combattere il terrorismo fondamentalista.
Il dibattito sull’opportunità di utilizzare la parola “genocidio”, già adottata da Paesi alleati come gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito, aveva incontrato le resistenze di Pd, M5S e Iv, tanto da costringere il presidente Piero Fassino a rimandare la discussione in aula lo scorso 8 aprile. Il nuovo testo unitario non parla di genocidio ma chiede comunque al governo di prendere, anche in Ue, una serie di contromisure.
Fra queste, una “ferma presa di posizione” nei confronti del governo cinese per le sanzioni contro i membri del Parlamento europeo per le opinioni espresse sul rispetto dei diritti umani in Cina. Poi la richiesta ai “partner Ue” di accertare nelle sedi internazionali “i casi sospetti di violazione domestica sistematica dei diritti umani” e di sostenere “la richiesta di accesso libero e senza restrizioni allo Xinjang per l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite”, nonché l’invio nella regione di “osservatori, esperti, esponenti della società civile e parlamentari”.
Nella versione finale del testo è stato invece rimosso un precedente riferimento alla strategicità dello Xinjiang per il governo cinese “in quanto zona di passaggio nei progetti della Nuova via della Seta”. Il voto a favore dei Cinque Stelle abbatte un altro tabù del Movimento in politica estera. Lo stesso blog del fondatore Beppe Grillo aveva nei mesi scorsi negato a più riprese la persecuzione uigura, con articoli che parlavano di “fonti” inaffidabili e “dati” inverificabili. Come nel caso della risoluzione che a marzo ha riconosciuto all’unanimità Juan Guaidò come legittimo presidente del Venezuela, anche sugli uiguri sono infine crollate le ultime resistenze.
Negli ultimi anni il tema della persecuzione uigura ha scalato l’agenda della politica estera americana fino a diventare il punto più controverso delle tensioni con la Cina. Un trend che l’amministrazione di Joe Biden non ha invertito, imponendo nuove sanzioni contro i funzionari cinesi accusati di violazioni dei diritti umani.
In Italia la questione uigura si è fatta spazio nel dibattito pubblico tanto da spingere alcune aziende, come la catena di abbigliamento Ovs, a sostenere campagne di sensibilizzazione contro lo sfruttamento del lavoro forzato. Il dossier è sulla scrivania del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Questo mercoledì un gruppo di parlamentari ha partecipato a una manifestazione davanti alla Farnesina per la separazione forzata di quattro figli da una coppia di genitori uiguri, Ablikim Mamtinin e Mihriban Kader, fuggiti in Italia nel 2016 e residente in provincia di Latina.