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Un premier da manuale. Cencelli su Draghi e le nomine

A tu per tu con l’ex Dc Massimiliano Cencelli, inventore dell’omonimo manuale che per trent’anni ha guidato la lottizzazione del potere in Italia. Da Cdp ai Servizi, Draghi fa da sé, tanto i partiti non esistono più. Conte? Bravo, ma non ha mai davvero occupato il potere. Ma per il Quirinale serve un altro metodo

Ah i caminetti, i bisbigli di palazzo, le nomine di partito e d’azienda decise in corridoio, in salotto, al ristorante. Un brivido nostalgico scuote Massimiliano Cencelli a ripensare a quei tempi che furono, e non sono più.

Non con Mario Draghi a Palazzo Chigi, che ascolta tutti, poi fa da sé. Con buona pace di quel manuale non scritto che da Cencelli ha preso il nome e per cinquant’anni ha guidato la lottizzazione partitica del potere in Italia.

“Ma i partiti ora non esistono più”, sospira oggi l’ex Dc, 85 anni, una vita nei gangli della Balena Bianca, dietro le quinte, come chi conta davvero. Bisognava pur chiedergli cosa ne pensa di questa nuova stagione di nomine targata Super Mario. Da Cassa Depositi e Prestiti a Ferrovie, dai Servizi segreti alla task force per i vaccini, il premier ha iniziato a riempire una ad una le caselle chiave dello Stato. Con un metodo che un po’ fa storcere il naso alle segreterie di partito, abituate a previ consulti e consultori.

“Non è solo Draghi, è che le segreterie di partito non contano più niente. Quando ero alla direzione della Dc con Moro e Fanfani segretari e Fiorentino Sullo capogruppo e bisognava fare le nomine ci riunivamo e la mettevamo ai voti. Poi si decideva, e tutti si adeguavano alla maggioranza”. Di tempo ne è passato da quel lontano 1968, quando al Congresso della Dc che incoronò premier Giovanni Leone un giovane Cencelli, allora nella neonata corrente dei “pontieri” fondata da Cossiga e Taviani, decise che in fondo le nomine politiche non erano così diverse da quelle di un Cda di un’azienda.

Anche Draghi, dice lui, non può ignorare del tutto il manuale. “Se sono cinquant’anni che esiste un motivo c’è, tutti lo criticano ma poi stanno al gioco. Draghi lo ha adottato informalmente. Non poteva fare altrimenti, con la maggioranza più ampia della storia repubblicana”. Eppure qualcuno è rimasto a bocca asciutta. Citofonare a Giuseppe Conte, che in cento giorni ha visto rimuovere uno ad uno i suoi uomini di fiducia dalle stanze dei bottoni. A partire da Domenico Arcuri, sostituito dal cappello piumato del generale Francesco Paolo Figliuolo alla guida della campagna vaccinale.

“Conte è una persona capace, brava. Però diciamocelo, di politica non se ne intende granché – riprende il Dc, ripescando in una tasca con orgoglio la sua prima tessera del partito, “avevo diciottanni e me l’ha firmata Alcide De Gasperi, non so se mi spiego”. “Conte, il potere, non lo ha mai occupato veramente. Discuteva, parlava, ma alla fine non concludeva nulla”.

E come si occupa il potere secondo Cencelli? “Vede, fin dai tempi dell’Eni di Mattei, quando arrivava il momento delle partecipate, iniziava la spartizione. Ci si riuniva e si decideva a quale corrente, a quale partito andava il posto nel Cda. A quel punto le correnti davano i nominativi”.

Non il massimo dell’etica pubblica, va detto. “È vero, ma i fatti sono questi. E chi è venuto dopo non si è discostato granché. Anche chi in pubblico puntava il dito. Ma mi faccia aggiungere una cosa”. Prego. “La politica non si può mettere da parte, altrimenti è finito tutto. Inutile avere i partiti, inutile avere un Parlamento. Alla fine persino Draghi dovrà adeguarsi, almeno in parte, alle richieste della politica”.

Chissà che non vi sia un metodo Cencelli anche per sbrigliare la più intricata delle matasse, l’elezione al Quirinale. “No, qui bisogna fare un’eccezione. Io sono stato amico di Cossiga, di Segni, le posso assicurare che per salire al Colle non c’è mai stato un manuale Cencelli. La verità è che non ne abbiamo avuto bisogno, sono stati tutti presidenti validissimi”. Anche Mattarella? “Anche lui, merita un bis. È stato un grande presidente”. Da manuale.

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